«Investimenti flop? Fondazione è sotto scacco di Unicredit»

Semenzato difende l’ente dopo la relazione del Tesoro «La vendita dell’ex Questura attende il via da un anno»
«Fondazione potrà avere anche i suoi problemi, ma oltre a dire che negli ultimi anni ha lavorato molto per correggere quello che poteva non andare, va sottolineato che la situazione potrebbe essere migliore se non fossimo sotto scacco di Unicredit». Dopo la polemica su Fondazione Cassamarca scatenata dalla radiografia dell’ente fatta dal ministero del Tesoro rispondendo ad una interrogazione dei grillini, è l’ingegner Piero Semenzato a muovere le prime mosse a difesa dell’ente. Consigliere di Fondazione Cassamarca e amministratore unico di Appiani Srl, uomo incaricato di concretizzare gli indirizzi di politica immobiliare di Fondazione da tre anni a questa parte, Semenzato non entra nel merito diretto delle contestazioni fatte al cda e al presidentissimo De Poli, di cui sia il deputato M5S Piero D’Incà sia il presidente di Alcedo Gianni Gajo chiedono la testa, ma cerca di chiarire come «la difficoltà dei conti non sia dovuta solo a eventuali errori o congiunture, ma sia anche il risultato di una situazione che penalizza Fondazione e le sue mosse: la dipendenza da Unicredit».


Per spiegarlo conferma un fatto: la vendita dell’ex questura di via Carlo Alberto non si è mai concretizzata. Annunciato nel febbraio 2016, l’affare è sempre stato trattato con uno strano silenzio. Il giorno del via libera del consiglio, da Ca’ Spineda partì un comunicato di poche righe, poco se si pensa che l’affare poteva valere 15 milioni risolvendo un tassello di un risiko immobiliare nato anni prima, quando l’Appiani era ancora
in fieri
. Ma da allora più nulla, né parole, né cantieri. Sulla concretizzazione del contratto è pesata la crisi della banche venete, «ma non solo», ammette Semenzato, «perché Fondazione da oltre un anno è in attesa del via libera di Unicredit all’operazione: senza quello non si può fare nulla». Di qui lo sfogo: «È comprensibile che oggi si accusi la dirigenza, io ne faccio parte da tre anni (anche se prima di entrare nel consiglio di indirizzo ricopriva già cariche di responsabilità nell’ente,
ndr
), su quanto avvenuto prima non voglio discutere, ma va evidenziato che è stato fatto un grande lavoro per rimettere in sesto i conti rispondendo sia al ministero, sia risolvendo problematiche evidenziate dalla stessa dirigenza, ma non si può non tener conto del fatto che se Fondazione potesse operare sugli immobili senza dover passare sempre sotto il giudizio di Unicrediti, le operazioni sarebbero più veloci e così anche la possibilità di Fondazione di risollevare i bilanci». Chiama in causa anche gli accordi che permisero di affittare gli spazi del nuovo San Leonardo all’università («C’è voluto un anno e mezzo per ottenere un sì») e spiega: «In questa situazione è ancora più difficile operare sul mercato». Il ministero ha classificato gli investimenti immobiliari dell’ente come «produttori di costi e non redditi». Ma Semenzato smentisce: «Non è così» e torna a calcare il tema Appiani: «La Cittadella è un investimento che funziona, che rende e che presto si chiuderà definitivamente con l’arrivo della Camera di Commercio. L’affare ormai è fatto», dice. Ai piani alti di Ca’ Spineda, sede di Fondazione, però negli ultimi giorni e anche a seguito dell’attacco a 360 gradi di Gajo, gli animi ribollono, c’è malcontento mentre fuori si moltiplica il fronte di chi oggi – con colpevole ritardo – alza la testa e pensa di accusare il Cda ma soprattutto De Poli, che ormai è in scadenza di mandato l’anno a venire... ma dopo 26 anni senza (troppe) opposizioni. E risuonano pesantissime sie le parole della relazione di bilancio che affermavano come «il patrimonio fosse difficilmente stimabile», sia quelle di Gajo: «Il patrimonio? Esistono solo debiti. C’è margine per il commissariamento. La Fondazione non può più assolvere i suoi ruoli statutari». Il capitale per i fondi erogativi, gli investimenti sul territorio, si è esaurito nel 2016.


Federico de Wolanski


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