Infiltrazioni, il Doge della Mala del Brenta «I grandi boss non si comportano così»

«I mafiosi non si presentano. Se te li trovi di fronte lo sai e basta. Per questo credo che quelli arrestati in queste settimane siano in realtà solamente dei millantatori, magari per fare qualche estorsione». Chi parla è Giampaolo Manca, il “Doge” ai tempi in cui era uno degli esponenti di spicco della Mala del Brenta. Ne è convinto perché lui in quel mondo è cresciuto e si è affermato, conquistando ricchezze a non finire e quella controversa forma di rispetto riservata ai malviventi di spessore. E perché anche quando la legge lo disarmò, togliendogli la libertà e condannandolo a oltre trentasei anni di reclusione, ha continuato a misurarsi con alcuni tra i più pericolosi personaggi della criminalità organizzata.
Che idea si è fatto delle indagini sulle infiltrazioni nel nostro territorio delle mafie del sud, camorra e ’ndrangheta?
«È ridicolo che uno si vanti di essere casalese. Per quel che ne so io, e di esperienza ne ho parecchia, quando uno afferma di appartenere a questo o a quel clan, significa che non è vero. E questo perché se lo dici, il giorno dopo sei un uomo morto. La “famiglia” non te lo perdona, e questa è una regola tassativa. Mi sono poi soffermato su un episodio che secondo me rende l’idea sullo spessore di questi personaggi. Riguarda un recupero crediti. Il casalese Amodio chiede a tal Luciano Maritan, meno noto dello zio Silvano mio coimputato al processo “Rialto”, di intervenire per recuperare da un’altra persona 4.000 euro. E questi sarebbero i camorristi di Casal Di Principe che si vantano della loro appartenenza? Ma non scherziamo, non è questo il modo di operare dei mafiosi. Ma sarà la magistratura a portare le prove per questo fenomeno in casa nostra».
Quali erano invece i rapporti di forza quando in Veneto comandava la Mala del Brenta?
«Non siamo mai stati dei mafiosi, certamente dei criminali, rapinatori di razza, non come quelli di oggi che massacrano per poche lire. Dal momento che abbiamo trattato la droga nessuno poteva entrare nel nostro territorio. Ecco, siamo stati dei trafficanti, ma mafiosi mai».
Gli imprenditori veneti affermano di essere preda delle mafie a causa della crisi economica.
«Se rispondo a questa domanda direi cose scomode, ma troppi in realtà ci marciano».
Lei ha trascorso in carcere più di 36 anni. Ora incontra gli studenti per raccontare come sia possibile cambiare e trasformare la propria vita in maniera radicale.
«Ho trascorso più della metà della mia vita in carcere per aver fatto cose terribili. Ma oggi voglio testimoniare ai ragazzi delle scuole che i valori della vita non sono certamente quei valori del male che facevo, e che per affermarsi nella vita non si debbono mai, e dico mai intraprendere le strade della malavita come ho fatto io molto tempo fa. Spiego loro che non siamo mai stati idoli, ma delle carogne senza scrupoli».
Ha scritto un libro sulla sua esperienza criminale “All’inferno e ritorno. Trentasei anni senza libertà”. Cosa le resta di quella vita?
«Nel carcere di Rimini, nell’ultimo periodo della lunghissima detenzione mi sono detto: Giampaolo devi scrivere per tutti i giovani spiegar loro cosa è stato quel mondo e per far capire che anche se si tocca il fondo se lo vuoi puoi risorgere come è avvenuto a me».
La figura di Felice Maniero continua a far parlare. Anche lui afferma di aver cambiato vita. Gli crede?
«Quando lui restituirà tutti i soldi accumulati con le sue azioni malefiche io allora crederò al suo riscatto, al suo voler rimediare. Ma fino a che non lo farà io non crederò al suo pentimento vero, quello dell'anima». —
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