Il Mercato ortofrutticolo di Treviso, già attivo quando la città ancora dorme

TREVISO. «Pomodorini, che spettacolo! Tre euro» dice il venditore Paolo Basso. Renzo Ghedin, dettagliante, osserva con occhio certosino la merce esposta, ne tasta la freschezza, fa due conti al volo. «Vada per il datterino, sei colli». E alla pila applica un talloncino azzurro con il suo nome stampato sopra. Ma l’antichissimo rito della contrattazione non finisce qui. Renzo riprende parola: «Vedo che ne hai tanti ancora da vendere…». E Paolo non si fa trovare impreparato. «Va bene, vedo di toglierti qualcosa sul prezzo».
Accordo chiuso.

In questa notte che si fa chiara stupisce la rapidità dello scambio, la velocità di pensiero e azione. La regola aurea è legata alla legge della domanda e dell’offerta: quando c’è molto prodotto ci sono margini di trattativa, quando ce n’è poco si assottigliano anche i margini di prezzo. Un insegnamento vecchio come il mondo, trasmesso di padre in figlio, insieme ai segreti per riconoscere i prodotti di qualità e quelli che vanno venduti presto. Tre quarti di luna andando verso l’alba.

A Treviso il mercato ortofrutticolo è una città nella città, sveglia, chiassosa, in fermento. La fila di camion e furgoncini si dispone. Nella grande piazza coperta i fari illuminano a giorno. Come sotto a due ali di gabbiano, frutta e verdura in bella mostra. Pile di fragole sprigionano profumi, asparagi e carciofi salutano la primavera sbocciata con le primizie. Tutto attorno sfilano in una danza concitata fattorini diretti alla pesa, muletti carichi di merce, ronzio di mezzi meccanici e segnali acustici, vociare appassionato di commercianti.

Diciassette grossisti, tra i capostipiti la ditta Forato Spa, che vede in Riccardo la quinta generazione, occhi chiari e una capigliatura rosso fuoco. Una storia di famiglia partita da Asolo e arrivata Oltreoceano. «I miei avi hanno iniziato come esportatori di mele per le colonie italiane in Somalia ed Etiopia. Poi siamo diventati grossisti. Al mercato di Treviso siamo presenti dal 1967». Dal calesse trainato dai buoi ai container che portano le pere dall’Argentina alla Marca trevigiana.
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«Sono cresciuto in una famiglia che ha sempre fatto questo. Ho visto tanti mutamenti, c’ero quando non esistevano ancora i supermercati, ma mai mi sarei aspettato una pandemia. Stiamo soffrendo un calo di vendite e fatturati ma siamo fiduciosi». Riccardo pesca tra i ricordi una speranza per il futuro. «Mio figlio sta studiando economia aziendale, spero l’attività possa andare avanti con lui. Per farla ti deve piacere, serve passione».
La stessa che Claudio Visentin applica ogni giorno nella liturgia dell’agricoltura: le sue mani lavorano la terra a Santa Bona senza timore del freddo.
«Tutte le mattine da quarant’anni mi sveglio di buonora per venire a vendere i miei ortaggi al mercato. Ho iniziato che ero un ragazzino». Per gli oltre cento produttori come lui c’è uno spazio dedicato. Spiccano le cassette di radicchio rosso tardivo Igp.

«Questo è stato raccolto in gennaio, conservato nei frigoriferi, poi messo in imbianchimento nelle vasche con l’acqua, lavorato e immesso nel mercato. L’annata del radicchio non è stata delle migliori, ma ora che il prodotto scarseggia il prezzo si è un po’alzato» dice Angelo Bastarolo, presidente della cooperativa Capo che raggruppa i produttori di Treviso, Padova e Belluno.
Ogni accordo chiuso è l’inizio di un altro viaggio. La merce riparte alla volta di botteghe, ristoranti e supermercati. Non prima di essere passata dalla pesa, fatturata e pagata. Zazai Khanwasir, facchino, 24 anni e origini afghane, segue con cura questa fase. Scarica con abile gesto le cassette sulla bilancia, comunica il peso alla venditrice. Alla parete tagliandini colorati con i nomi dei venditori, Maria Etelka segue le operazioni contabili. «Inserisco i dati nel pc ma se serve so guidare il muletto» dice con una punta di orgoglio quando inizia ad albeggiare.
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