Il fratello Germano «Vogliamo la verità»

Fu lui a dover riconoscere il cadavere della sorella «La ferita nel nostro cuore non si è più cicatrizzata»

PAESE

«L’unico obiettivo è sempre stato, è e resta sapere la verità dei fatti, sapere chi ha ucciso in quel modo brutale Elisea e Cristina. La ferita, nel nostro cuore, rimane ancora aperta». Germano Marcon, fratello minore di Elisea, resta nella sua riservatezza. Le poche parole che pronuncia arrivano da chi è a lui vicino e dal legale di famiglia. Il dramma, d’altronde, è ancora vivo, pur a distanza di molti, forse troppi anni.

Fu lui, 22 anni fa, a dover riconoscere il cadavere della sorella. A dover recarsi di fronte a quel lago di sangue che era diventata la casetta dove, nella stagione estiva, dormiva Elisea, nello stesso stabile del suo chiosco “Ai Casoni” di Rosolina. Fu lui a vegliare la nipote Cristina, trovata agonizzante e rimasta in coma per alcuni giorni, prima di spirare in ospedale ad Adria e venir trasferita poi a Padova per il dono degli organi. Ora, la notizia della svolta nelle indagini che riguardano il duplice omicidio di Rosolina, con l’individuazione del Dna di Gaetano Tripodi, la accoglie con soddisfazione. Ma mantenendo il massimo riserbo. «Com’è nel suo carattere», dice chi lo conosce, e nell’obiettivo di lasciar lavorare gli inquirenti senza alcun tipo di possibile influenza. «Si tratta di una notizia inaspettata ma è un bene che le indagini vadano avanti anche a distanza di anni, che la ricerca della verità ed il lavoro degli inquirenti continui» è quanto ha riferito l’uomo a persone a lui vicine, chiedendo quindi al proprio avvocato – il dottor Martino De Marchi – di tenerlo informato su sviluppi ed accadimenti giudiziari.

«La famiglia Marcon, dopo aver appreso la notizia per cui nel luogo del crimine risulterebbe la presenza di Gaetano Tripodi, attende il prosieguo delle indagini per valutare al meglio questa nuova pista che, effettivamente, rappresenta una svolta rispetto alle ipotesi investigative risalenti a vent’anni fa e che vedeva nel solo lavapiatti ceco il maggior sospettato» è stato il messaggio affidato al proprio legale, «rimane la convinzione che nel luogo degli omicidi fossero presenti più persone che, insieme, hanno consumato un atto disumano per la violenza perpetrata a danno delle vittime. La presenza di “un romano” venne prospettata dagli investigatori anche nel 1998, ora resta da attribuire una identità a questa figura».

La stessa riservatezza, i Marcon, la tennero anche un anno fa, quando la Procura di Rovigo – a marzo – riportò “a ruolo generale” le indagini, iscrivendo nel registro degli indagati i due cittadini della Repubblica Ceca. «Non abbiamo mai smesso di sperare nella giustizia e attendiamo da oltre vent’anni la verità su quanto è effettivamente accaduto», fu il commento nel 2019 della famiglia, «è stato un fatto tragico, che ha sconvolto tutta la nostra famiglia: quella di sorella e nipote dilaniate da tanta violenza è un’immagine indimenticabile. Gli interrogativi ancora aperti sono molti ma confidiamo che la Procura di Rovigo vada fino in fondo alla vicenda, in modo che i responsabili dei fatti possano essere puniti». Ora, questa medesima speranza, pare possa finalmente trovare compimento.—

A. B. V.

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