Il caso a Treviso: dopo il parto chiede di nuovo l’infibulazione

Ventenne va dal dottore con gli organi genitali cuciti. La operano per poter mettere alla luce il bimbo, poi la richiesta shock

TREVISO. Amina ha vent’anni. È arrivata da poco nel nostro Paese dall’Africa e sta aspettando un bambino. La visita dal dottore in un ambulatorio della provincia di Treviso rivela una verità sconvolgente: i suoi organi genitali sono stati tagliati e poi ricuciti malamente.

È la pratica tribale dell’infibulazione con escissione che coinvolge milioni di donne al mondo. Consente i rapporti sessuali, seppur dolorosi, ma nel parto si rischia la vita. Il medico la convince a riaprire la ferita per far nascere il bambino e tentare di ricostruire in qualche modo il corpo martoriato.

Dopo il parto però la donna chiede di tornare come prima, infibulata, forse sotto pressione del marito o sotto l’influsso di tradizioni millenarie, che cozzano con il nostro ordinamento giuridico, con la civiltà, con il buon senso. Difatti il medico si rifiuta.

L’emergenza. Le mutilazioni genitali che coinvolgono oltre duecento milioni di bambine e donne in trenta Paesi tra Africa, Medio Oriente e Asia stanno diventando un fenomeno crescente anche tra noi. Lo testimoniano i casi emersi negli ospedali, nei consultori e nelle scuole. Rappresentano la punta di un iceberg, un tabù difficile da infrangere.

Per questo Actionaid di Treviso ha deciso di organizzare un convegno aperto al pubblico venerdì 27 settembre alle 9 a palazzo Rinaldi: «Vogliamo raccontare il lavoro lungo e complesso compiuto in un anno con tante associazioni impegnate nel territorio per capire e affrontare un fenomeno doloroso», spiega la presidente di Actionaid Marina Cenzo.

L’Italia è uno dei Paesi che ospita il maggior numero di donne escisse in Europa, per il consistente flusso migratorio femminile proveniente da Egitto, Nigeria, Etiopia, Senegal.

E anche se delineare un numero preciso di donne infibulate è difficile, ci si può fare un’idea contando gli stranieri residenti a Treviso: al primo gennaio 2018 erano 11.779 ovvero il 13,9% della popolazione. Di questi più del 10% provenienti da paesi in cui si praticano mutilazioni genitali femminili.

il progetto. Il Progetto “Before the after”, realizzato da Actionaid, con la collaborazione di La Esse e altre sigle tra cui Mani Tese, donne senegalese e del BurKina, è nato con l’obiettivo di comprendere il fenomeno, agganciare le donne, spiegare loro come tali pratiche siano dannose. Un “intervento non giudicante” per cambiare le prospettive presenti e future.

Poiché altra questione grave è quella delle bambine. L’infibulazione in Italia è vietata, allora molte famiglie portano le piccole, anche di pochi anni, nel paese d’origine e le affidano a delle streghe-mammane che operano con lamette, coltelli, rasoi, vetri rotti non sterilizzati provocando emorragie e infezioni, senza dimenticare i futuri problemi mestruali, il dolore nei rapporti sessuali, cisti, complicanze durante il parto.

Una vita distrutta. Poi ci sono le ripercussioni psicologiche, tra cui il disturbo post-traumatico da stress, e quelle indirette come l’abbandono scolastico.

A notare che qualcosa non va sono spesso le maestre che vedono le alunne tornate da una breve vacanza in Africa completamente cambiate: nervose, taciturne, svogliate. Per intervenire è necessario allertare assistenti sociali e forze dell’ordine.

“Operazioni lunghe e difficili da districare, che coinvolgono diversi soggetti e toccano la privacy delle famiglie” sostengono alcune mediatrici culturali che auspicano un’azione comune affinché venga riconosciuto il diritto delle bambine ad essere difese e protette. 
 

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