I Casalesi e le banche: «Veneto Banca e Popolare di Vicenza ci anticipano le fatture»

I business dell’organizzazione nelle intercettazioni del trevigiano Pizzo. I rimpianti di Adriano Donadio: «Come si stava bene quando c’era la Popolare»
SCATTOLIN - DINO TOMMASELLA - ERACLEA - BLITZ DELLE FORZE DELL'ORDINE NELLE ABITAZIONI DEI DONADIO
SCATTOLIN - DINO TOMMASELLA - ERACLEA - BLITZ DELLE FORZE DELL'ORDINE NELLE ABITAZIONI DEI DONADIO

TREVISO. Anche il clan dei Casalesi che ha messo radici nella Marca rimpiange gli anni d’oro delle popolari, Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Più volte esponenti di spicco dell’organizzazione come Adriano Donadio e Tommaso Pizzo vengono intercettati dagli investigatori della Dda parlare di come una volta fosse molto più facile farsi anticipare le fatture dall’istituto guidato da Zonin e dall’ex popolare di Montebelluna. Il gruppo è molto attento all’ambiente bancario per portare avanti i traffici e per questo, tra gli indagati, c’è anche un ex direttore della filiale di Oderzo della banca di Brescia, il trevigiano Marco Donati.

Le banche venete

«Il 19 novembre 2010 Donadio chiede a Pizzo quando potranno andare in Veneto Banca, con la società, per vedere se gli faranno un po’ di anticipo fatture», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, «Pizzo informa Donadio che dal 22 in poi saranno operativi e gli chiede l’invio delle carte. Donadio gli dice che il Banco di Brescia in giornata gli avrebbe deliberato 40.000 euro. Pizzo gli fa notare che con il Banco ha diversi rapporti e per questo motivo non avrebbe avuto problemi». Dalle intercettazioni emerge infatti una grande dimestichezza degli esponenti del clan con il mondo bancario. «Ricordano il tempo passato quando le cose andavano bene», si legge in un altro passaggio dell’ordinanza, tanto è vero che Pizzo gli fa notare: “Come si stava bene alla Popolare di Vicenza” e Donadio aggiunge: “Che ci scontava fatture. Ti ricordi quella...”. E questo perché, soprattutto Pizzo, forniva al clan nuove opportunità trovando imprenditori interessati a ricevere false fatture pagandole al 10 per cento del loro importo. Ma una delle attività maggiormente redditizie, soprattutto dal novembre 2014, è il riciclaggio di grosse somme di denaro esportate illegalmente dalla Russia e trasferito in Albania, «dove il sodalizio mafioso dispone di contatti sicuri e di livello molto elevato che gli consentono di accedere al sistema bancario locale sotto la copertura di società intestate a cittadini albanesi.

Il business delle valute

La prima operazione di riciclaggio di marchi tedeschi risale a luglio del 2012 e sono coinvolti i trevigiani Pizzo e Franco Breda insieme, tra gli altri, a Luciano Donadio. Ma Pizzo «è intervenuto anche nel riciclaggio di lire italiane fuori corso detenute da organizzazioni criminali che avevano la necessità di disfarsene senza accedere al sistema bancario. Nell’agosto 2012 compito di Tommaso Pizzo è stato quello di ricercare in Serbia persone interessate all’acquisto della valuta al 35-40% del suo valore per poi cambiarla presso le banche locali». Si parla di cifre enormi. «Donadio dice a Pizzo: “Allora io ho una persona, questo ha 170 miliardi” aggiungendo che il denaro è depositato presso una banca. “In una cassetta di sicurezza. Tu vai in banca, ti prendi quello che ti serve, gli dai il 35%”, spiega Donadio.

I soldi contraffatti

Protagonista assoluto di questo business è Franco Breda da Vazzola. «Nel mettersi puntualmente a disposizione dell’associazione», si legge nell’ordinanza, «Breda ha dimostrato tutta la sua capacità nel settore delle frodi». In particolare aveva anche messo a punto una truffa milionaria ai danni di una società finanziaria portoghese «da attuarsi sempre in una operazione di riciclaggio di capitali provenienti dalla Calabria. Breda era riuscito ad entrare in possesso di assegni circolari per 6 milioni di euro e si è recato in Portogallo nell’ottobre 2010 a spese dell’associazione mafiosa». Successivamente Breda si è occupato di recuperare fornitori di valute contraffatte».

Gli interrogatori

Inizieranno nelle prossime ore gli interrogatori delle cinquanta persone coinvolte nella maxi inchiesta della Dda che ha portato, nella sola provincia di Treviso, l’arresto di quattro persone (una ai domiciliari)due indagati e una persona raggiunta dalla misura dell’obbligo di dimora. L'attività investigativa anticamorra che ha portato ai 50 arresti da parte della Dda di Venezia «è enorme, parte addirittura dal 1996, in essa sono stati riversati elementi che compaiono da oltre 20 anni, personaggi che hanno sviluppato un ruolo camorristico di rilievo da tantissimo», ha commentato il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho. La vera “differenza” per de Raho è che in Veneto «nel tempo, grazie al lavoro delle forze dell'ordine, si è intervenuti su molti singoli casi, mentre con oggi si è colpito l'intero sistema messo in atto. La Camorra di fatto si è impossessata dello spazio lasciato libero dopo il debellamento della Mala del Brenta senza alcuna distinzione con altre organizzazioni come la 'ndrangheta o i catanesi».

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