«Ho incontrato le bambine-prostitute fingendomi la cliente di un locale»

. Gli eroi non portano la maschera. Una giovane castellana è stata nei bordelli di Katmandu, per conto dell’università olandese The Hague, per documentare e denunciare la prostituzione minorile. Annachiara Sarto, 21 anni, ha deciso di metterci la faccia per fermare quell’orribile fenomeno che si chiama “tratta di corpi umani”: minorenni, bambine date in pasto a clienti-belve. Un fenomeno allarmante e in continua crescita.
Pochi giorni fa, Annachiara è tornata dal Nepal dove ha lavorato con sua madre Annalisa, medico, in una casa accoglienza per bambine vittime della tratta.
La storia di Annachiara parte dall’associazione We Act, da lei fondata, associazione che si occupa di sensibilizzare la popolazione attorno al fenomeno della prostituzione minorile. Poi ha iniziato una collaborazione con l’associazione Chhori a Katmandu in Nepal.
Annachiara, come mai Katmandu?
«È stata un’esperienza inimmaginabile. Quanta povertà, quanta miseria. Abbiamo vissuto con loro nella loro povertà. Sempre sedute per terra in luoghi mai puliti. In casa sempre scalzi. Sempre mangiato per terra e sempre riso e brodo con verdure e spezie, tanto curry. Acqua per lavarsi sempre fredda e sempre poca ma ogni volta che c’era era una manna. E poi loro: le bambine, le ragazze, le donne. Belle, tanto belle. Con la loro pelle scura e i loro occhi neri attenti e curiosi. Con i loro vestiti poveri ma pieni di colori. Le abbiamo incontrate il primo giorno mentre festeggiavano il settimo anniversario della nascita del centro. Ballavano a piedi nudi e cantavano».
Che cosa fa per loro l’organizzazione Chhori?
«L’organizzazione si occupa del recupero di vittime di tratta di esseri umani, di ragazze reclutate e destinate al commercio per attività sessuali illegali, e di ragazze vittima di prostituzione forzata. Fornisce loro un luogo sicuro dove vivere, un’assistenza legale e psicologica e si occupa di reintegrare le vittime nella società».
Tua mamma Annalisa ha prestato assistenza medica?
«Sì, fin dal primo giorno si è occupata di incontrare e visitare tutte le ragazze e le donne del centro, e nei giorni successivi le è stato chiesto di visitare anche le donne e bambine di altri sedi dell’organizzazione. Alcune non avevano mai visto un dottore in vita loro».
E tu che ruolo hai avuto?
«Ho raccolto dati e storie di ragazze vittime di tratta, per fare una pubblicazione che scriverò a settembre affiancata da una professoressa della The Hague University of Applied Sciences, specializza in diritto internazionale di minori. Ho tenuto alcune lezioni di self-empowerment alle ragazze ospitate nel centro e lezioni di lingua inglese. Chhori ha iniziato un programma di lavori artigianali che vengono insegnati alle ragazze per cercare di guadagnare un po’ di fondi per il centro. Mentre ero lì a Kathmandu ho postato in Facebook alcuni dei prodotti realizzati dalle ragazze e sia io che mia mamma siamo state piacevolmente stupite dalla risposta positiva che abbiamo ricevuto. Ho raccolto e poi consegnato al centro 624 euro, una cifra notevole, considerando il fatto che uno stipendio medio in Nepal è di circa 50 euro al mese».
Ma ti sei anche infiltrata nei bordelli di Katmandu per documentare il fenomeno della prostituzione minorile...
«Una sera, sono stata in incognito con una responsabile del centro in un Dance Bar, un locale dove le ragazze si esibiscono con musica e vestiti succinti. Per raggiungere questo luogo sono salita in un bus locale, che si è fermato in un quartiere molto povero e malfamato di Kathmandu. Era buio, non c’erano donne per strada. Solo uomini e alcuni all’apparenza ubriachi e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Non nascondo la grande tensione che ho provato nel percorrere la strada che portava verso il locale. Quest’ultimo era nei sotterranei di un edificio di cemento, spoglio, buio e sporco. All’entrata cerano due giovani in camicetta bianca, con tanto di stuzzicadenti alla bocca, smartphone in mano. Il mio compito era di fotografare di nascosto le ragazze che si esibivano per scrivere una pubblicazione a riguardo, e di avvicinare le ragazze e convincerle a venire nel centro per cercare supporto: tutto questo senza che gli ubriachi trafficanti di donne capissero che in realtà non eravamo “clienti” come ci avevano detto di presentarci. Puoi immaginare la paura, lo sdegno e lo sgomento che ho provato. Dovevo restare composta davanti a minorenni, vestite in abiti striminziti, disposte sopra un palchetto in legno con al centro un palo di lap dance, sotto l’effetto di droghe che le rendevano un po’ barcollanti con gli occhi assenti, con un’espressione di ghiaccio, più che triste».
Cosa fanno le autorità locali per contrastare il fenomeno?
«Ho partecipato a un incontro che viene svolto annualmente a Kathmandu con la polizia, le autorità governative e i padroni dei Dance Bars e Cabin Restaurants. In Nepal esiste un dialogo tra autorità e coloro che gestiscono questi locali che molto spesso sono i luoghi dove arrivano le vittime della tratta. Ho pensato quanto importante siano incontri di questo tipo. Le autorità e la polizia incontrano questi uomini e cercano di far capire loro le conseguenze penali che gli spettano se per esempio assumono ragazze minori nei loro locali».
Ora cosa hai intenzione di fare?
«La mia collaborazione con Chhori non è finita qui. Vorrei dire che questo è stato solo l’inizio di un progetto che promette bene. Chhori infatti ha dato la disponibilità a We Act di accogliere i suoi membri come volontari e di insegnare loro le dinamiche della tratta di esseri umani in Nepal. Da settembre il mio compito sarà quello di istruire i membri di We Act in Olanda i quali desiderano fare questa esperienza, che è sicuramente molto formativa». —
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