Ferruccio Pasin e gli altri soldati deportati

Ceschin: «Quei militari trevigiani catturati e rinchiusi dopo l’armistizio del settembre ’43»

«La deportazione dei militari italiani è iniziata subito dopo l’8 settembre del 1943. Se Ferruccio Pasin è partito da Lancenigo prima, come racconta la nipote, forse lo ha fatto per il fronte balcanico, poi è tornato ed è stato deportato. Oppure è stato catturato in giro per l’Italia e poi è partito per la prigionia». Daniele Ceschin, storico, ci aiuta a contestualizzare quei giorni drammatici: dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre, anche da Treviso molti militari furono catturati dai tedeschi e deportati nei campi di lavoro in Germania. Internati militari italiani (Italienische Militär-Internierte - IMI) fu il nome ufficiale dato dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori del Terzo Reich nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’armistizio di Cassibile. Dopo il disarmo, soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta se continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo il dieci per cento accettò l’arruolamento. Gli altri vennero considerati “prigionieri di guerra”. In seguito cambiarono status divenendo “internati militari” (per non riconoscere loro le garanzie della Convenzione di Ginevra), e infine, dall’autunno del 1944 alla fine della guerra, “lavoratori civili”, in modo da essere sottoposti a lavori pesanti senza godere delle tutele della Croce Rossa loro spettanti.

Condizioni terribili, che hanno lasciato ferite indelebile sui corpi e soprattutto nell’anima di chi ha vissuto quell’orrore in prima persona. Ferruccio Pasin, come ha raccontato la figlia Anna, è tornato sotto shock per quella prigionia durata quasi due anni. Lo “Stalag III-A” che lo ha ospitato (il nome, in codice, compare sulla lettera arrivata ora a Villorba) poteva tenere fino a diecimila prigionieri. Secondo le stime, in quel campo sono morte tra le quattromila e le cinquemila persone.

Il 20 settembre del 1943 fu Hitler a intervenire d’arbitrio affinché la condizione giuridica degli italiani fosse ridotta da “prigioniero” a “internato”: la derubricazione la sottomissione dei deportati a un regime giuridico non convenzionale secondo gli accordi di Ginevra del 1929, e gli “internati” venivano a trovarsi in un limbo giuridico legato all’arbitrio totale di Berlino, senza assistenza da parte della Croce Rossa. (f.p.)

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