Fa una scena muta al giuramento Il sindaco gli nega la cittadinanza

CONEGLIANO. «Niente cittadinanza a chi non parla l’italiano». Tredici sindaci del Coneglianese hanno votato all’unanimità un documento secondo cui ogni primo cittadino, prima di ricevere il giuramento di uno straniero che ha diritto alla cittadinanza, dovrà testare il grado di comprensione della lingua italiana di chi gli sta di fronte. Basta, quindi, giuramenti sulla Costituzione balbettati o scene mute davanti al sindaco, ora arriva il test (di fatto, uno scambio di battute fra sindaco e immigrato). Un atto politico ma con risvolti pratici: dopo 10 anni si ha diritto alla cittadinanza italiana, ma è nelle facoltà del sindaco rinviare l’appuntamento con il giuramento di qualche mese, utile per seguire un corso di italiano. A San Pietro di Feletto è già successo: un cittadino cinese, dopo la scena muta al giuramento, è stato invitato a tornare dopo sessanta giorni, e al secondo tentativo è stato “promosso”.
Il documento sta girando i consigli comunali di Conegliano, Codognè, Gaiarine, Godega di Sant’Urbano, Mareno di Piave, Orsago, Pieve di Soligo, Santa Lucia di Piave, San Pietro di Feletto, San Fior, Susegana, San Vendemiano e Vazzola. L’idea è partita dai sindaci Loris Dalto (San Pietro), Alessandro Bonet (Godega) e Piera Cescon (Vazzola), ma ha ricevuto consensi bipartisan. «Il sindaco» recita la delibera approvata «per dar corso al conferimento della cittadinanza italiana dovrà valutare, con opportune domande rivolte all’interessato, il suo grado di comprensione e utilizzo orale della lingua italiana, secondo i parametri dell’esame di lingua A2». È richiesto, quindi, un italiano basilare: «Quanto basta, però, per mostrare di essere inseriti nella società» spiega da parte sua il sindaco Dalto.
Nella maggior parte dei casi, chi, dopo 10 anni di permanenza in Italia, si reca in municipio per il giuramento sa parlare molto bene l’italiano. Ma qualche eccezione non manca: «Se non sanno recitare nemmeno il giuramento, saranno invitati a tornare più avanti. A me è già capitato, mi sembra qualcosa di logico. La conoscenza della lingua, per esempio, è un ottimo strumento per l’emancipazione delle donne, che altrimenti rischiano di isolarsi in un ambiente domestico a volte molto chiuso». «La cittadinanza viene conferita automaticamente, i sindaci raccolgono soltanto il giuramento» spiega invece Bonet «ma l’appuntamento per quest’ultimo passaggio può essere rinviato fino a un massimo di sei mesi. È questo che facciamo presente nella delibera: i sindaci devono controllare che chi hanno di fronte sia in grado di sostenere una conversazione almeno basilare. Per essere italiani bisogna avere valori e idee condivise, il primo passo è la conoscenza della lingua». Nelle intenzioni dei tredici sindaci c’è anche sensibilizzare il governo nazionale perché nei requisiti per la cittadinanza sia inserito anche un test di lingua vero e proprio. «In quasi tutti gli altri Paesi succede» continua Bonet «da noi la normativa nazionale è carente. Eppure non ci sono scusanti: chi non sa la lingua dovrà frequentare una scuola di italiano, ne abbiamo una anche a Godega. Essere cittadini italiani comporta onori e oneri».
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