«È come chiudere il duomo Salviamo quel locale»

Incredulità e amarezza per la decisione di Campeol di lasciare per sempre Toffolo: «Spero che qualche imprenditore vinicolo lo rilevi e lo faccia vivere»

«Salvatele, vi prego. Chiudere le Beccherie è come chiudere il duomo. Qualcuno intervenga, chessò, un imprenditore vinicolo che compri il locale, o una società che ne raggruppi più di uno». «Mi piange il cuore, è come sradicare una piazza dalla città. Temevo che questo giorno sarebbe arrivato».

Annibale Toffolo e Beppo Zoppelli hanno vissuto in prima persona la storia e l’evoluzione dell’enogastronomia di questa città. La data del prossimo 30 marzo, quando le Beccherie chiuderanno la serranda per l’ultima volta, vorrebbero già cancellarla dal calendario. «Oggi vanno di moda i bar che propongono aperitivi lunghi», dice Carlo Campeol, erede della dynasty di nonno Carlo e papà Ado che hanno vissuto in quel locale di piazza Ancilotto dal 1939, «Avremmo dovuto dare una svolta a questo ristorante», dice Carlo, «ma a sessant’anni non ho la voglia né l’energia per farlo. C’è un detto secondo il quale le attività vengono chiuse alla terza generazione. È così anche nel nostro caso».

Una notizia che a suo modo ha choccato la città. «Non riesco a immaginare Treviso senza Beccherie», dice Annibale Toffolo, editore e direttore della rivista di enogastronomia TasteVin, «qualcuno deve salvare il locale. Non voglio essere irriverente, ma è come se chiudesse il duomo». È la fine di un modello di fare ristorazione ormai vecchio? «No, mi rifiuto di crederlo. Quella del piatto di minestra soa toea è una tradizione che ha un senso etico, non solo edonistico. Non sono contro le nuove cucine, anzi, ma non possiamo trascurare le origini, è come se io rinnegassi il mio nome. Non credo che le Beccherie chiudano per una questione di menu vecchio, anzi. Qui è una questione di stimoli, credo». E poi c’è “lui”, il tiramisù. È nato lì dentro, è arrivato in tutto il mondo. Possibile chiudere per sempre la sua culla? «Il tiramisù è come la pizza, anche in Giappone lo conoscono e lo chiamano così», dice Toffolo.

Incredulo fino a un certo punto. Amareggiato, invece, decisamente di più: anche Beppo Zoppelli, delegato onorario dell’Accademia italiana della cucina, ha «un pianto nel cuore» per la notizia della chiusura delle Beccherie. «Temevo che sarebbe successo, provo una profonda tristezza», dice Zoppelli. «Non so cosa succederà, se Campeol chiuda, venda...». Certo, aprirci un sushi sarebbe un delitto, no? «Non ci voglio pensare. Purtroppo però oggi mancano le persone con quel modus operandi». Racconta un episodio, Zoppelli. «Una sera stavo tornando in treno da Milano, qualche anno fa. Ho fatto quattro chiacchiere con due persone che sono salite a Verona, ho chiesto loro dove andassero. Andiamo a Treviso per mangiare pasta e fasioi alle Beccherie, mi hanno detto. Partivano da lì apposta». Zoppelli lancia anche un appello: «Capisco che oggi gli agriturismo propongono lo stesso tipo di cucina a prezzi inferiori, ma dobbiamo metterci una mano sulla coscienza: se non mangiamo più in posti come le Beccherie, siamo destinati a perderli».

Anche il presidente della Regione, Luca Zaia, e il sindaco di Treviso, Giovanni Manildo, si dicono dispiaciuti. «Non è solo la fine di un pezzo di storia di Treviso, è la cancellazione di una pagina della cultura enogastronomica mondiale. Ci mancherà un luogo come questo dove assaggiare territorio e tradizione senza mai annoiarsi». «Spero che almeno qualcuno lo rilevi, per farlo riaprire», dice Manildo, «Noi stiamo pensando a una delibera che consenta degli sgravi fiscali alle botteghe storiche».

Fabio Poloni

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