De Pol Calzature abbassa la serranda, il Calmaggiore perde cent’anni di storia

Un’altra chiusura eccellente in centro, dopo quattro generazioni. Il titolare Bruno: «È stato un grande sacrificio, i miei figli fanno altro»

Pietro Nalesso
De Pol, il negozio abbassa le serrande
De Pol, il negozio abbassa le serrande

De Pol Calzature chiude, dopo cent’anni di storia. Al civico 33 di Calmaggiore, a partire dal prossimo 15 febbraio, non campeggerà più l’insegna blu che tutti hanno imparato a conoscere.

Le scarpe di De Pol hanno segnato un’epoca di commercio per i trevigiani, ma la crisi degli affari per i negozi fisici ha troncato il futuro anche di chi ha passato un secolo nel cuore della città. Da domenica, sulle vetrine, i proprietari hanno fissato i cartelloni che annunciano la svendita totale (da domani fino al 14 febbraio) per cessazione attività. «Grazie Treviso e trevigiani, con voi il negozio ha potuto “camminare” per tutta la città», recita il messaggio per la clientela, che ha reagito con dispiacere alla notizia comunicata prima sulla rete.

Il passaggio generazionale

I figli non vogliono proseguire l’attività del padre Bruno De Pol, 67 anni, che dopo 47 anni e quattro generazioni abbassa la serranda sulla storica boutique di famiglia: «Abbiamo tenuto duro negli ultimi anni, che sono stati sempre più difficili - racconta il titolare - ho raggiunto il mio obiettivo, lascio il passo ai giovani. Sono entrato all’età di 20 anni sotto l’ala di mio papà Girolamo, i miei figli non vogliono continuare questo lavoro. È un mestiere di sacrificio, l’ho fatto per tantissimi anni con mia moglie Simonetta Bellinaso, ora spero di riposarmi un po’. Ci stiamo attivando per sistemare le 3 dipendenti, troveremo di sicuro una collocazione. Sono spiacente con loro, ma questa è la realtà».

29 aprile 1925

Il nonno di Bruno, Emilio, aveva dato al figlio il nome del bisnonno, che aveva fatto partire la lunga storia di De Pol in Calmaggiore. La prima registrazione dell’attività risale al 29 aprile 1925, ma Girolamo De Pol era operativo già da tempo: aveva una fabbrica dove ora vive il teatro Eden, forniva gli scarponi all’esercito italiano nelle due guerre mondiali: «Due anni fa abbiamo realizzato che era il momento di chiudere, abbiamo valutato con calma.

I miei figli fanno già altro, hanno visto quanto mi sono sacrificato per il negozio e l’impegno economico che richiede la gestione ogni anno. Acquisto i prodotti senza sapere quanto e cosa venderò, se a fine stagione va bene riesci a guadagnarci, ma prima devi investire sulle scarpe in ogni caso. Si sopravvive di saldi e svendite, solo così riesco a pareggiare il bilancio. La gente aspetta l’offerta per comprare, prima non ci pensa nemmeno. Siamo stufi di vendere prodotti pregiati a questi prezzi, quasi regalandole, non si può andare avanti così».

Non solo crisi

È diminuito il potere d’acquisto dei clienti? «No, la domenica i ristoranti sono pieni, che non mi vengano a dire che non possono acquistare un paio di scarpe a 150 euro. Ragazzi giovani spendono 20 euro per uno spritz e un cicchetto, sembra che noi commercianti siamo qui per tenere vivo il centro, con le luci e le vetrine. Ma se la gente ha trascurato i negozi del centro allora noi trascureremo la città, mi dispiace per chi si sorprenderà».

Sono numerosi i negozi sfitti in centro: «Vedo Calmaggiore da 47 anni, è cambiata tantissimo. Durante la settimana non passa nessuno, solo pensionati la mattina. Il lavoro si riduce al sabato e la domenica preferisco tenere chiuso per pensare agli affetti personali, ho sempre voluto godermi chi ho accanto. Mi dispiace vedere tutto buio, gli affitti hanno prezzi assurdi e nessuno subentra. L’immobile è nostro e abbiamo concordato un prezzo ragionevole con il prossimo inquilino, ma non rivelo ancora chi sarà. Io mi dedicherò alla cultura e allo sport, mi piace andare in bicicletta». —

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