De Checchi (Antico Pallone): «In settimana solo turisti, se fosse per i trevigiani chiuderei bottega»

Il grido d’allarme dal bancone di uno dei templi della convivialità a Treviso: «Gli eventi? Sono da ripensare a fondo, e i weekend sono intasati»

Andrea Passerini
Luca De Checchi all’Antico Pallone di vicolo Rialto
Luca De Checchi all’Antico Pallone di vicolo Rialto

«Attenzione, il centro storico soffre, parecchio. E sempre più. Dalla fine di gennaio di quest’anno noi locali pubblici dentro mura siamo ancorati ai fine settimana, non credo che i miei colleghi mi smentiranno. E se non fosse per i turisti, da lunedì al giovedì, potrei tranquillamente chiudere. Almeno riduco i costi».

Dal bancone dell’Antico Pallone, in vicolo Rialto, che è uno dei templi della convivialità trevigiana, Luca De Checchi lancia l’allarme, con un’impietosa fotografia della città dentro le mura.

E non è un esercente qualsiasi: è esponente della dynasty attiva in città dal 1949, ha ripreso in gestione il bar dove papà Franco, prematuramente scomparso, e mamma Paola gettarono le basi per creare un piccolo impero, nel solco del fondatore, il nonno, che conta una decina di locali. E con lui c’è anche il fratello Andrea, avvocato, già vicesindaco, big di Forza Italia dopo esserlo stato di An, ed oggi assessore alla mobilità.

C’è una spiegazione, De Checchi, del fenomeno che denuncia?

«Il mondo vive fuori dalla mura, dai cinema che non ci sono più, allo sport, ai ritrovi. Non è un caso che le uniche sere infrasettimanali dove ci sia un minimo di movimento siano quelle in cui il teatro Comunale propone spettacoli o altre manifestazioni. Aggiungiamoci la comodità di parcheggio, la facilità dell’accesso, qui invece nei weekend spesso ritroviamo “chiusi” diversi pezzi di città, che diventano poco accessibili».

Scusi, ma gli eventi sono quelli che portano migliaia a migliaia di persone.

«Attenzione, sono promossi nei fine settimane quando molta gente verrebbe comunque. Inviterei l’amministrazione e le istituzioni a studiare eventi nell’arco della settimana, per rendere più omogeneo l’arco settimanale. Dal lunedì al venerdì bisogna dare spazio ad esposizioni di quadri, a cantanti e poeti, a persone che hanno un qualcosa da esporre, ad animare con musica le piazze le vie ed i vicoli. C’è un sacco di gente che vorrebbe avere spazi gratuiti per mettersi in evidenza, e contestualmente la città ne gioverebbe».

Ma davvero i trevigiani non escono più? Questo sembra anche un fatto sociale, un segno dei tempi.

«È documentato, ci sono le ricevute dei pos, si vede se sono nostrane o straniere. Ma basterebbe chiedere al personale quanto parla inglese e quanto italiano, se non dialetto, in alcune giornate ...».

Lei parla dei turisti, ma altri operatori del settore lamentano che non portino grande indotto. La quantità sarebbe andata a scapito della qualità.

«Ribadisco, il loro aumento ha coperto il calo drastico dei trevigiani, è stato provvidenziale. Può esser vero che non spendano moltissimo. Ma per noi le consumazioni, i panini, i pranzi veloci ed i caffè sono preziosi in questa congiuntura. La tendenza continua anche in questi mesi primaverili, quando storicamente e negli altri anni, certo non in quelli della pandemia, c’era una ripresa da aprile. Quest’anno non si vede ancora».

In autunno tornano le grandi mostre di Marco Goldin.

«Bene, perché appunto di esce dalla logica del weekend e si investe su un evento continuo e di alto livello. Se non si compiranno altre scelte in questa direzione temo che nel giro di pochi anni noi locali pubblici dovremo fare scelte drastiche e pesanti. Magari, come gli agriturismi, aprire solo nei weekend. Non che ci piaccia, ma i costi, dagli affitti a quelli di esercizio, dico le materie prime, le utenze, il personale, lo imporranno. E aggiungo inevitabilmente».

C’è chi negli ultimi anni ha preso gestioni di locali fuori mura. Tendenza che si sta consolidando a anche adesso da arte di suoi colleghi.

«Lo faro anch’io a breve, con un socio apro un ristorante in una villa di Falzè di Trevignano. Non c’è dubbio: in questo momento è meno oneroso, e in diverse situazioni c’è più movimento che in città. E anche questo, penso, deve far riflettere».

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