Dalla Cina a Treviso: "Io, Xian, prete dei cinesi e la mia catechesi su WhatsApp"

TREVISO. C’è un prete cinese a Treviso, sacerdote dei cattolici cinesi immigrati arrivato da Pechino per accorciare le distanze tra i connazionali di casa nella Marca e i trevigiani. Don Giuseppe Xian, vive da cinque anni in città grazie a un accordo pastorale della diocesi trevigiana con la Chiesa cinese. Quarant'anni, nato e cresciuto in un Paese grande 32 volte l'Italia, dove il cristianesimo è "sorvegliato speciale" da parte del regime comunista, don Giuseppe (questo il suo nome di battesimo) è in servizio nella parrocchia di Fiera. Ma il suo impegno pastorale consiste soprattutto nell'evangelizzazione dei cinesi immigrati che sempre più numerosi a Treviso si stanno avvicinando alla fede cattolica. Insieme segue anche le comunità cattoliche cinesi di Belluno, Vicenza e Padova.
Don Giuseppe chi sono e quanti sono i cattolici cinesi di Treviso? «Sono circa duecento i fedeli della comunità, su un numero complessivo di seimila cinesi nella Marca. Aumentano ogni anno i catecumeni adulti che iniziano il percorso di catechesi per ricevere il battesimo. Tutte le domeniche celebro la messa nella chiesa del villaggio Gescal a Fiera in lingua cinese. Ma inizia a crescere ormai il numero dei cinesi che partecipano alle messe celebrate in lingua italiana in diverse chiese. Qualcuno ha ricevuto il battesimo in Cina. Altri si battezzano qui. Il percorso di catechismo per diventare cristiani è lungo, dura due anni. E non tutti riescono a portarlo a termine per via dei tempi di lavoro. O perché si trasferiscono in un'altra città per lavorare. La comunità cinese ha sempre sentito parlare di comunismo non di Gesù. Per questo ha bisogno di essere aiutata e c'è tanto da fare. Per i ragazzi dagli otto ai sedici anni abbiamo anche avviato attività di doposcuola la domenica per permettere loro di imparare la lingua cinese».
Della comunità cinese di casa a Treviso sappiamo poco se non nulla. Perché ci appare così distante?
«I cinesi che lavorano a Treviso sono impiegati soprattutto nei settori della ristorazione e delle confezioni. Lavorano 16 ore al giorno senza sabati né domeniche. Svegliarsi, lavorare, dormire, questo è il tempo del lavoro in Cina. Per chi vive in Italia le difficoltà di comunicazione restano tante a causa della lingua, delle tradizioni culturali, dello stile di vita. Tra queste la più difficile è la barriera linguistica perché la grammatica italiana e quella cinese sono molto diverse. Basti pensare che in Cina ci sono 88 dialetti e 2.600 lingue diverse. L'unico ponte che può unire due mondi così diversi è l'amicizia. E per fare amicizia servono tempo e pazienza. Bisogna cominciare a conoscersi e a condividere esperienze».
La fede che ormai a Treviso parla anche cinese quale via sta percorrendo per farsi strada?
«Quella della vicinanza e dell'aiuto come ha insegnato a tutto il mondo Madre Teresa. Ma oggi la catechesi viaggia anche via WhatsApp. Conoscendo bene i tempi di lavoro dei miei connazionali cerco di far uso di questo strumento. Seguo 50 gruppi WhatsApp di fedeli a cui dedico almeno un'ora al giorno per la preghiera e la catechesi. Anche questo, come ci ha insegnato Papa Francesco, aiuta».
Come è riuscito a diventare sacerdote in un Paese dove la libertà religiosa non è ammessa?
«Arrivo dalla periferia di Pechino. Mio nonno era stato battezzato da un missionario. Diventò sagrestano e cattolico devoto. Durante la rivoluzione culturale cinese, durata dal '56 al '76, è stato prima arrestato e poi ucciso insieme al suo parroco. La persecuzione ha fatto pagare un prezzo molto alto alla mia famiglia. Anche mio padre era stato perseguitato e ferito a causa della sua fede. Sono diventato sacerdote quindici anni fa. Nel 2006 sono partito dalla Cina per Roma per studiare diritto canonico. Sono stato inviato qui a Treviso perché sono numerosi i miei connazionali residenti».
Cosa significa essere cristiani in Cina?
«Il regime comunista ha fatto sì che tutte le persone, fin dalla loro infanzia, fossero formate senza nessun riferimento religioso. Atee per capirci. Ma nonostante la repressione la religione ha il suo impatto. Quella più popolare è il buddismo e il taoismo praticata dall'80% della popolazione. Il cristianesimo è limitato all'un per cento. Tuttavia non si può celebrare senza il consenso del governo. Ed è normale avere telecamere dentro e fuori le chiese. Bisogna chiedere il permesso per celebrare messe e sacramenti. Ci sono vescovi e sacerdoti in carcere solo perché si oppongono al regime. C'è una divisione tra una Chiesa patriottica, assoggettata al regime, e una "sotterranea" che si riconosce nella Chiesa cattolica universale. Nel 2007 Papa Benedetto XVI ha introdotto la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina. E nella sua lettera ai cattolici cinesi esprimeva l'intenzione attraverso la preghiera di rafforzare la comunione tra cristiani. Papa Francesco ha ripreso questi temi proprio mentre è in atto il dialogo tra Santa Sede e governo cinese sul metodo per le nomine dei vescovi. Le cose sono in rapido cambiamento».
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