Crac Velo, ora si indaga per bancarotta

Giovedì la sentenza di fallimento a fronte di un buco di oltre 40 milioni di euro: fine di una società con 150 anni di storia
Velo Spa di Altivole - La sede della Velo Spa di Altivole Nel riquadro Marco Rossini
Velo Spa di Altivole - La sede della Velo Spa di Altivole Nel riquadro Marco Rossini

Centocinquant’anni di storia imprenditoriale ed economica sono finiti improvvisamente, e per verti versi inaspettatamente, giovedì in tribunale a Treviso, con la dichiarazione di fallimento della società. Un terremoto per la Velo srl, ex Velo spa, l’azienda di Altivole di via Piave 55, leader nella produzione di macchinari per l’industria enologica, della birra e del trattamento delle acque, già al centro di un’inchiesta penale per una maxi-frode fiscale. Ieri mattina i 154 dipendenti sono stati rimandati a casa, mentre nel pomeriggio il sindacato ha incontrato il curatore fallimentare nel tentativo di trovare una soluzione tampone a tutela dei lavoratori. Intanto, sul fronte giudiziario, si è aperto un nuovo fronte: il tribunale ha inoltrato alla Procura gli atti relativi al fallimento per valutare l’ipotesi del reato di bancarotta. Un procedimento che si aggiunge a quello già aperto per frode fiscale.

La sentenza di fallimento. La società, che aveva come amministratore unico Antonio Velo, è stata dichiarata fallita giovedì, dopo che tribunale ha ritenuto inammissibile la proposta di concordato preventivo presentata dalla srl. Tre gli elementi che hanno pesato sulla decisione dei giudici: l’esposizione per oltre 40 milioni di euro della società a fronte di una situazione congiunturale non favorevole al rilancio delle imprese; il contenzioso da 10 milioni di euro aperto con il Fisco per la contestata frode realizzata attraverso un giro di false fatture; l’inchiesta penale relative appunto ai falsi titoli contabili in base alla quale Loretta Velo, figlia di Antonio ed ex ad della società, è stata rinviata a giudizio qualche giorno fa. Tutti aspetti, questi, che insieme alla stretta finanziaria da parte delle banche, hanno determinato il tracollo della società. E, proprio con riferimento agli istituti di credito, l’ex ad di Velo, Marco Rossini, a sua volta a processo per la frode fiscale, ha sostenuto che le fatture false venivano usate non tanto per evadere il fisco, quanto per gonfiare il fatturato e ottenere in tal modo i finanziamenti bancari altrimenti improbabili. Il tribunale ha nominato come curatore il commercialista Mario Toso di Treviso che avrà ora 90 giorni per presentare la sua relazione; l’esame dello stato passivo davanti al giudice delegato Antonello Fabbro è previsto invece per il prossimo 26 ottobre.

L’ipotesi bancarotta. Il tribunale ha trasmesso alla Procura gli atti relativi al crac Velo. Lo ha fatto perché, a fronte del buco milionario, occorre accertare eventuali responsabilità penali. La Guardia di Finanza a cui le indagini sono state delegate, dovrà stabilire se qualcuno ha sottratto beni ai creditori spogliando l’azienda. «Ci aspettiamo che si punti il dito contro i Velo», spiega il difensore della famiglia, l’avvocato Francesco Murgia, «Ma sia chiaro: in questa vicenda chi ha rubato non è certo la famiglia Velo. E commette un grave errore chi pensa di averla fatta franca. Dimostreremo le responsabilità di chi ha rubato e di chi ha causato questo tracollo. Il mio incarico, ora, è questo».

La fine della dynasty. La società di Altivole ha 150 anni di storia: quattro generazioni di Velo si sono succeduti al comando dell’azienda facendola diventare leader nel settore e, per molto tempo, un vero e proprio gioiello produttivo della Marca. Tra la sede di Altivole e quella di Caerano sono stati realizzati più di 100 brevetti, 35 dei quali erano in uso. Dopo la pesantissima batosta conseguente all’inchiesta della Finanza di Bassano, la famiglia montebellunese aveva valutato la cessione a una cordata di russi.

Sabrina Tomè

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