«Così mi sono salvato a Capaci»

«Un cambio di turno mi ha salvato la vita». Il trevigiano Luciano Tirindelli, 49 anni, faceva parte della scorta di Giovanni Falcone. E quel 23 maggio del 1992 doveva essere sulla macchina blindata del “Quarto Savona 15”, quando saltò per aria allo svincolo di Capaci, sull’autostrada Palermo-Punta Raisi. A distanza di 21 anni ricorda quei giorni drammatici e il collega che, per fargli un piacere, l’ha sostituito perdendo la vita insieme al magistrato, alla moglie e agli uomini della scorta. Ricordo che la mattina di quel 23 maggio 1992 mi trovavo in servizio dopo un giorno di riposo perché ero andato a trovare mia nonna a Valderice, sempre lì in Sicilia, in provincia di Trapani», racconta alla rivista Il Piave, «ma avevo chiesto un piccolo favore ad Antonio Montinaro, quel giorno: il cambio di turni tra me e lui. Così lui è morto e io sono sopravvissuto».
Tirindelli quindi ripercorre la sua esperienza accanto al giudice Falcone e alla moglie, Francesca Morvillo. «Una donna elegante e bella a tal punto che ero quasi imbarazzato», ricorda oggi, «mentre stavo facendo manovra con l’auto, mi chiese “Ma lei come si chiama?”. “Luciano Tirindelli” risposi. Probabilmente sorpresa dalla mia pronuncia, mi chiese: “Ma di dov’è lei? Da dove arriva?”. “Sono di Treviso, una bellissima città che merita di essere visitata”. “Chissà se un giorno Giovanni mi ci porterà!”, rispose lei. Parcheggiai la macchina, questo fu il mio primo incontro con Francesca, una donna che anche in tutte le altre occasioni si è sempre dimostrata educata».
Falcone e la moglie non avrebbero mai più avuto l’occasione di visitare Treviso perché la mafia aveva già stabilito la loro condanna a morte. Ma Tirindelli è convinto di una cosa: che il magistrato, all’epoca chiamato da Claudio Martelli al ministero di Grazia e Giustizia, non sia stato protetto abbastanza. «Quel giorno non c’era il Poli, un elicottero, ma se ci fosse stato, oltre a consentire una visuale completa del territorio, sarebbe stato soprattutto un deterrente», spiega oggi, «La mancanza dell’elicottero può avere inciso. E anche tanto. Da lassù si sarebbe potuto notare il gruppetto con il telecomando? Si sarebbero viste delle “anomalie” lungo il percorso? Chi può escluderlo? Perché nessuno in questi ventuno anni dall’attentato ne ha mai parlato? Poi, la casualità vuole che quel giorno, e questo Brusca non lo poteva sapere e non so neanche se gli fosse stato comunicato, alla guida dell’auto ci sia Falcone, a destra la moglie Francesca. Salta in aria sul tritolo la prima auto che viene presa in pieno dall’esplosione, la seconda guidata da Falcone viene investita sì, ma dall’onda d’urto e così pure le vetture che seguono. Il vetro davanti della Croma di Falcone viene sfondato da questa terribile onda che prende in pieno Giovanni e Francesca. Un agente della scorta, che è seduto dietro, si fa solo un’escoriazione e un piccolo taglio sulla testa, ma rimane vivo. La signora Francesca rimane per alcuni momenti viva, e anche Giovanni. Moriranno entrambi in ambulanza».
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