«Così ho vinto la leucemia», la storia di una ragazza di Castelfranco

Castelfranco. Sara, ventenne di San Floriano, racconta la sua battaglia più dura: quella per la vita. «Oggi sorrido grazie all’affetto della mia famiglia e ai medici»

CASTELFRANCO. Pochi giorni fa, la lettera dall’ospedale di Padova: «In assenza di ulteriori effetti collaterali, possiamo dichiarare Sara Baldin guarita dalla leucemia». Tra le mani la comunicazione ufficiale. Accanto a sè mamma Sandra e papà Walter e la sorella Valentina. E di fronte... tutta la vita da vivere.

Sara Baldin ha 20 anni, abita a San Floriano e, finalmente, ad aprile 2018 è guarita dalla leucemia di tipo LaL. Si è ammalata nel 2007 e ha finito il ciclo di cure nel 2009. Tre anni densi come tutti gli altri giorni delle sua vita messi insieme. Ancor più densi sono stati gli altri dieci, fatti di continui controlli per verificare se veramente Sara aveva sconfitto la leucemia. Dieci anni con dentro la paura di dover tornare in ospedale per nuovi cicli di cure. Finalmente però, la liberazione completa: «Quando ho letto la lettera, ho iniziato a tremare... Era finito tutto. Ora, ho imparato ad apprezzare la vita».

Diplomata all’istituto Martini, ora la sua vita ha preso un nuovo corso. Lavora all’Ascom e ogni giorno si alza pensando a quanto i suoi genitori abbiano sofferto per lei e li ringrazia per non averla mai abbandonata. «La mia famiglia e i medici del reparto di oncoematologia pediatrica di Padova sono stati i miei angeli custodi», racconta Sara, «Ricordo molte cose della mia battaglia contro il cancro, due tra tutte; lo sguardo di mia madre, di mio padre e di mia sorella e il loro infinito prodigarsi per aiutarmi». Quando è arrivata la lettera pochi giorni fa, papà e mamma hanno voluto festeggiare con Sara. «Siamo andati a cena fuori immediatamente. Dovevamo lasciarci alle spalle questi anni di lotta».

Le difficoltà, secondo Sara, ci sono state: molte e intense. «Ricordo il dolore delle terapie che non mi lasciavano dormire. Ricordo le ciocche di capelli biondi che si toglievano quando mi accarezzavo la testa. Ricordo la mia debolezza fisica, anche per andare in bagno e la forza di mio padre e mia madre che mi accompagnavano con amore». Ricordi di una vita lontana, ma legata all’oggi e chiusa da una lettera ufficiale. Poche righe. Una firma. E la vita riprende. «Sei guarita dalla leucemia». Sara ammette che tutti coloro che le sono stati accanto, hanno sempre fatto l’impossibile per aiutarla, facendole apparire la malattia una sfida a portata di mano. Ed è stato proprio questo a salvarla. Anche in questi 10 anni di continui controlli, Sara ha sempre affrontato le visite con positività e coraggio: «Non bisogna mai, mai e poi mai, perdere la speranza. È tutto».

E continua, presa dal vortice di immagini e volti incontrati, fuori e dentro l’ospedale: «Ho visto molti coetanei restare indietro, morire, non farcela. Ho sempre cercato di stringere i denti e di combattere la mia battaglia». Poi confessa: «Un giorno mia madre ha letto un libro che raccontava di un uomo, malato di cancro, a cui era stata promessa la guarigione. Sarebbe guarito solamente se, recitando una preghiera, avesse ricevuto una rosa entro sette giorni». Ebbene, anche mamma Sandra aveva voluto recitare quella preghiera, e sei giorni dopo, qualcuno aveva suonato il campanello di Walter Baldin per regalare una rosa. «Quando si è a un passo dalla morte, tutto sembra possibile e tutto sembra impossibile», spiega Sara, che ancora pensa a quella rosa, arrivata allo scadere del sesto giorno. La morte, da un lato, e una bambina, dall’altro. La forza distruttiva del cancro che si appropria del corpo vivo e fragile di una bimba.

Una lotta lunga quasi 11 anni. Più della metà della sua vita. «Ora vedo la vita in maniera diversa, non mi va di sprecare alcun istante». Durante gli anni di malattia, ci sono stati momenti belli. «Tra questi, ci sono i due viaggi fatti con l’Ail (Associazione italiana contro leucemie), in America, vicino a New York, all’Hole in the Wall Gang Camp”», racconta Sara, «anche lì, c’erano bambini malati di leucemia da tutto il mondo. Stavamo assieme ai medici che ci facevano divertire e allo stesso tempo cercavo delle cure. Volti ed esperienze che non dimenticherò mai». Da lei un chiaro messaggio: «Nessuno perda mai la speranza».


 

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