Cinque secoli di mappe: ecco il grande Atlante del Veneto

TREVISO. Leggere le mappe per capire l’identità di un territorio. Se è vero che la cartografia rivela i punti di riferimento di un popolo, studiarne le caratteristiche può insegnare ad avere rispetto del paesaggio e a risparmiare nuove ferite. É un lavoro ciclopico, ma indispensabile e propedeutico, quello che Fondazione Benetton, su contributo della Regione del Veneto, sta per completare: la catalogazione di tutto il patrimonio cartografico presente nelle biblioteche, negli archivi, nei seminari, nelle parrocchie e nelle case private del Veneto. Cinque secoli di mappe venete. Lo studio, coordinato da Massimo Rossi, ha finora censito il patrimonio esistente nelle province di Treviso, Vicenza, Padova, Belluno e Rovigo. Mancano Venezia e Verona ma il lavoro secondo le previsioni dovrebbe essere completato entro l’anno in corso. Nel database finora sono stati inseriti ben 86.439 documenti cartografici, la metà dei quali non era mai stato inventariato. Il pool di ricercatori ha contattato 655 tra biblioteche e archivi, trovando in 97 di essere materiale prezioso.
Un lavoro analogo era stato tentato, senza fortuna, nel 1881 dal geografo padovano Giovanni Marinelli, che arrivò a censire circa duemila e 200 documenti, citati nel saggio dedicato alla cartografia del Veneto. Da allora più niente, ed è ragionevole pensare che una parte del patrimonio sia andato perduto. Il catalogo delle mappe diventerà un grande Atlante Veneto e una mostra, probabilmente tra il 2017 e il 2018. «Per leggere il territorio la cartografia è uno strumento eccezionale – spiega Massimo Rossi – ma per prima cosa c’è bisogno di acquisire la consapevolezza di ciò che esiste e di dove si trova. La conoscenza è preliminare a tutto il resto. Al termine di questo grande lavoro inizierà il lavoro di lettura, analisi, studio del materiale cartografico: utilissimo per tutti coloro che mettono mano al territorio». Urbanisti, amministratori, architetti e geometri sono avvisati: l’Atlante veneto dovrà essere il primo strumento di studio per tutti coloro che si occupano del territorio, ma per fare questo è necessario rendere disponibile il patrimonio esistente e che ora è chiuso dentro biblioteche e archivi spesso inaccessibili. Progettare dunque una nuova strada, realizzare una lottizzazione, costruire una pista ciclabile, correggere gli argini di un torrente dovrà tener conto di ciò che il territorio ha espresso nel corso dei secoli. La cartografia, infatti, «spiega» il territorio in maniera intuitiva, rappresentando il punto di mediazione raggiunto nel rapporto tra uomo e paesaggio.
L’inventario prende in considerazione solo materiale a stampa: la mappa più antica risale alla fine del Quattrocento, agli albori della stampa a caratteri mobili, è firmata da Hartmann Schedel, e pubblicata in «Liber Chronicarum» (Norimberga 1493). Dal materiale finora esaminato emergono anche le diverse caratteristiche della cartografia: nel Cinquecento era prevalentemente tridimensionale, nei secoli successivi diventa più lineare e schiacciata. «La precisione è figlia del tempo – spiega Rossi – e le caratteristiche cambiano di secolo in secolo». Ma è proprio da questa evoluzione anche grafica che è possibile stabilire stratificazioni, distruzioni, rifacimenti che nel tempo si sono susseguiti. Nell’epoca del Gps e di Street view, un occhio a com’era il nostro territorio è un esercizio non solo divertente, ma anche utile per chiunque: ritrovare le antiche denominazioni del territorio, leggere il reticolo stradale, studiare gli spazi urbanizzati e quelli destinati all’agricoltura è un esercizio, appunto, che abitua a impossessarci delle nostre radici. E magari a rimpiangere un po’ com’era il nostro Veneto prima dell’asfalto.
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso