C’era una volta il centro

E pensare che qualcuno s'era lamentato del l’eresia, all'arrivo della pizzeria sotto i portici della Prefettura: . Giusto. Peccato che quel qualcuno abbia abbondantemente collaborato a svuotare la città, facendone ormai un crogiolo di negozi dozzinali, dove si vendono calze e mutande a buon mercato, telefonini, giochini elettronici e ogni genere di merceologia d'accatto. Addio vetrine raffinate, addio cultura dell'esposizione, addio luci discrete e adatte a quel salotto che era la piazza. Dominano, ora - quando non si assiste a chiusure selvagge e cartelli "affittasi" - i negozi usa-e-getta. Sì, anch'essi limitati nel tempo, anch'essi intercambiabili, senza storia nè radicamento.
Il disastro comincia molto tempo fa. Allora Treviso aveva due piccole discoteche e qualche piano bar in pieno centro. C'era il posto dove i neocommendatori si ritrovavano a far finta di essere giovani e quello dove i ragazzini fingevano di trasgredire, ma con papà e mamma che attendevano - a piedi, perchè non serviva andare in periferia o in Fonderia per portare i ragazzi in discoteca - fuori della porta, pronti a riportare a casa i "cei". Sembra passato remoto, ma stiamo parlando di trent'anni fa, non duecento.
Se si vuol capire com'era il centro una volta, basta tener presenti alcuni fenomeni sopravvissuti, miracolosamente e non si sa per quanto ancora. Ad esempio la bottega di Vasconetto, affacciata sulla vecchia Cassamarca, dove entri con un problema ed esci con la soluzione, si tratti di colla, pennello, antitarme o pettine a denti larghi. O - già guardia smontante - la merceria dei Due Pomi appena al di là di Palazzo dei Trecento. Calmaggiore aveva negozi veri, gestiti di generazione in generazione dalla stessa famiglia e con commessi che conoscevano vita e miracoli dei loro clienti. Un nome per tutti? Bosio. Per non parlare del fronte dei bar e affini, osterie senza "acca" ma dai lombi nobili come quella di Secondo, in piazzetta Ancillotto, dove gli avventori si chiamavano tutti per nome e il ciclo delle "obre" era continuo. Se sopravvive la mozzarella in carrozza della Gigia, che fine han fatto, quasi di fronte, le "tose" o ex tali del Malibran? Attenzione, non stiamo parlando dei tempi eroici dell'Itala Pilsen, ma di dieci anni fa. Nel frattempo anche via Manin, Canton dee quatro esse e via Barberia hanno perso molti dei capisaldi che ne facevano le Montenapoleone di Treviso. E nella stessa zona è scomparso pure un tempietto della ristorazione qual era il Bersagliere, ai tempi d'oro di Bettino "pien de sociasisti come un vovo", dove capitava di veder uscire alcune delle "divinità" del gossip italiano del'epoca.
Sparita la pasticceria di Corso del Popolo e anche quella di Piazza San Vito, pare una cosa miracolosa trovare ancora aperto l'Antico Pallone dove si tifa Fiorentina. Travolti dalla presunta modernità quasi tutti gli storici negozi di scarpe (venivano dalla campagna a Treviso per comprarle) a esclusione di Siletto, Cappelletto e De Pol, sembra quasi impossibile vedere ancora allestita la vetrina dei cappelli di Bellina. Sparito il banchetto in Loggia del Nano Torzo, il paradiso dei Giocattoli rischia parecchio con lo svuotamento della città.
Non parliamno delle sale cinematografiche (restistono in due) travolte dalle multisale di campagna e dall'illusiorio fenomeno delle sale bingo. Gli artigiani, poi, con il calo della popolazione e la difficoltà a parcheggiare, stanno andado per consunzione. Tre soltanto i calzolai che tengono botta in città, con il mitico Tita motorizzato in testa. E del resto, se vuoi rifarti la suola (pratica che sta tornando prepotentemente) non puoi spendere altrettanto di parcheggio a pagamento. Anche i parrucchieri hanno pagato a caro prezzo la surretizia parking-tax e sono emigrati fuori mura, salvo scoprire che dilagano, anche "in appartamento", quelli cinesi, meno cari ma con uso di inquietanti prodotti orientali. Anche i monomarca stanno tirando i remi in marca: erano sbarcati, prepotenti, con le loro vetrine per bimbi ricchi, signore in cerca di ninnoli in cristallo e signori a caccia di impermeabili firmatissimi. Finito il fenomeno Nordest, alcuni hanno già radunato le loro carabattole e altri resistono finchè l’avviamento si potrà scaricare dalle tasse .
In centro di Treviso è destinato a diventare come quei villaggi del Far West (in questo caso Est), quelli in cui vento e sabbia passano sibilando attraverso porte spalancate e finestre che sbattono, in case, negozi e saloon desertificati? Magari no, ma bisogna far qualcosa. Lamentarsi non basta.
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