Camorra, parla Manzo: "Vi spiego l'affare di via Pisa"

Alle 13 in punto, "mister 130 milioni sequestrati", al secolo Francesco Manzo, 70 anni, vestito con un abito blu notte e pullover di lana, addenta un panino con prosciutto crudo e si beve una minerale in un bar di Piazzale Stazione. Come un qualsiasi travet in breve pausa pranzo, accetta di rispondere alle nostre domande sulla provenienza di quella montagna di milioni che secondo la Dda amministrerebbe per conto della Camorra.

Signor Manzo, le accuse della Direzione Distrettuale Anti-Mafia, di Venezia, sono molto pesanti. È accusato di aver accumulato un patrimonio immobiliare di 130 milioni di euro riciclando soldi sporchi provenienti dalle casse della Camorra e dell'ex Mala del Brenta.
«Innanzitutto, il patrimonio immobiliare che fa riferimento all'holding Ge.Ma srl e alle altre società collegate alla mia famiglia è decisamente inferiore alla somma indicata dagli inquirenti. Al massimo i beni immobiliari arrivano a 40-50 milioni. Tra l'altro sono, quasi tutti, soldi legati a mutui bancari che gli istituti di credito, presenti in Veneto, tra cui Banco di Brescia, Unicredit, Cassa di Risparmio, Bnl e Antonveneta-Mps, hanno erogato alla Ge.Ma. dopo aver effettuato, naturalmente, tutti i controlli necessari, previsti dalle normative vigenti».

Può indicare i singoli mutui bancari che ha ottenuto nelle operazioni immobiliari che lei ha compiuto nel Veneto dal 1990 a oggi. Ossia da quando ha lasciato Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, ed è venuto a fare l'imprenditore immobiliare in quello che allora era il ricco Nordest?
«Cominciamo dall'affare che ha fatto più clamore. Quello collegato all'operazione della torre, di 18 piani, chiamata Onda Palace, in area Zip, a Padova. Dopo i contatti indispensabili con il presidente Sergio Giordani e il direttore dell'Interporto, Roberto Tosetto, abbiamo comprato il terreno che ci serviva per 5 milioni attraverso mutui sottoscritti con Antonveneta e Cassa di Risparmio, che nel tempo sarebbero dovuti arrivare a 19 milioni. Cifra globale con la quale avremmo dovuto costruire i 18 piani del grattacielo, su progetto dell'architetto Tobia Scarpa e sotto la regia dell'ingegnere Mosole. Il progetto orginario era bellissimo. Di notte l'Onda Palace avrebbe brillato di diversi colori ed avrebbe ricordato i grattacieli di Dubai. Purtroppo i finanziamenti bancari si interruppero e, quindi, i lavori non sono più proseguiti. Peccato perché eravamo già in trattativa con alcuni potenziali acquirenti».
E l'affare del Castello Bortoluzzi a Ponte nelle Alpi?
«Lo acquistammo da un imprenditore trevigiano attraverso una permuta con tutta una serie di appartamenti che avevamo a Conselve (Padova) lungo la strada che porta all'Hotel Oasi. Anche in quest'occasione ottenemmo un mutuo dalla Bnl di 2 milioni, che, però è sospeso da 3 anni. Attualmente il valore del castello è sui 5-6 milioni. Abbiamo cercato di venderlo a prezzi più bassi del suo valore reale, ma la crisi del settore ci ha sempre remato contro. Lo voleva anche il Comune bellunese come sede del municipio, ma le risorse degli enti locali erano già bloccate dal Patto di Stabilità. È venuto a vederlo anche un business man tedesco nel settore del vetro di Murano, che si sposta anche in elicottero, ma alla fine l'affare è sfumato».
Cosa ci dice degli investimenti legati al capannone di via Cile, a Padova, dei 25 appartamenti (Manzo dice che non sono 40 come sostenuto dall'accusa, ndr) acquistati nella Torre Belvedere, in Piazzale Stazione, sempre nella città del Santo e dei 50 alloggi di vostra proprietà che si trovano a Treviso?
«Gli immobili di via Cile, oggi affittati per lo più ai cinesi, li abbiamo acquistati da un imprenditore, che gestiva i capannoni dove prima c'era l'azienda Piccin, con un mutuo di 12 milioni erogati da Bnl e Unicredit. Gli appartamenti di Piazzale Stazione li abbiamo acquistati con altri due mutui. Uno di 6 milioni dalla Deutsch Bank ed un altro di 800mila euro dal Banco di Brescia. Anche le abitazioni di Treviso le abbiamo acquistate con un altro mutuo, che, però, non siamo riusciti a onorare. Tant'è che oggi sono diventati proprietà della banca, con un valore totale di 2 milioni, che ha dato mandato a Tecnocasa per venderli sul mercato. Come si può notare subito con un minimo di sale in zucca, si tratta di normalissime operazioni immobiliari, avallate sempre, a vario titolo, dalle banche del territorio».
Quindi il riciclaggio...?
«Ma quale camorra dell'agro nocerino sarnese. Da 25 anni vivo a Padova e torno a casa dalla moglie, originaria di Palma Campania, solo a fine settimana con il volo, a pochi soldi, dell'Easy Jet. Nel mio passato ci sono soltanto piccoli reati esclusivamente nel settore commerciale. Sono un semplice imprenditore immobiliare, che vive degli affitti delle case concesse agli inquilini e che, dal 2008 in poi, fa fatica ad andare avanti a causa della crisi del settore che non è ancora finita. D'altronde le mie attività non sono ancora fallite perché, di fronte alle banche che reclamano il pagamento dei mutui, le ho portate in tribunale, accusandole di usura anche perché, negli anni passati, mi hanno fatto acquistare anche derivati che si sono rivelati carta straccia».
A proposito di malavita, cosa dice dei suoi rapporti d'affari con Benetazzo, ex esponente della Mala del Brenta?
«Io l'ho conosciuto solo come mediatore immobiliare, quando la banda guidata da Felice Maniero non c'era più da un pezzo. Il passato in queste cose con c'entra. Le dico di più: con lui ho fatto anche vari giri sulle montagne venete per vedere se ci fosse qualche affare da realizzare. Ma basta con il vedere mafia, camorra e 'ndrangheta dappertutto. Tutte le mie operazioni immobiliari sono state effettuate alla luce del sole e sempre con l'avallo delle banche».
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