Bubi, il trevigiano di “SanPa” braccio destro di Muccioli

La figura di Antonio Schiavon, capo delle relazioni esterne della comunità 

LA STORIA

Premessa. Se vi siete immersi nella docuserie «SanPa: luci e tenebre di San Patrignano» su Netflix, che sta spaccando nuovamente il Paese dopo 30 anni, non lo avete trovato. E nemmeno avete sentito il suo nome.

Antonio Schiavon è rimasto ancora nell’ombra. E pensare che è stato un protagonista a San Patrignano, prima di uscire nel 2002 e morire di un male inesorabile nel 2006, a nemmeno 46 anni, all’ospedale di Rimini. Bubi – così era chiamato già a Sant’Antonino, dov’è nato e cresciuto, da bubassa, l’eroina in gergo – ci era entrato nel 1984, diventando non solo uno dei più stretti e fedeli collaboratori di Muccioli, uno dei suoi bracci destri, ma anche il riferimento della comunità per il mondo esterno, politici compresi.

Nella stanza che gli viene assegnata troverà Fabio Cantelli, alla cui vicenda è ispirata la docuserie di Netflix, fino al fatidico finale “Sono vivo grazie a Muccioli e a San Patrignano, sono vivo nonostante Muccioli e San Patrignano»; un piccolo grande segno del destino. Bubi resterà a SanPa ben 18 anni, maggiorenne nella sua nuova vita nel segno di Muccioli.

Prima, seguendo il durissimo e contestatissimo percorso di cura, uscirà dal tunnel della dipendenza. Ma poi, in Vincenzo, troverà un riferimento che lo indurrà a darsi da fare nella comunità, per gli altri giovani come lui. Un pilastro della segreteria, l’anima delle pubbliche relazioni, l’organizzatore di convegni con cui la comunità ha illustrato la sua attività.

Fonderà lui il Muvlad, l’associazione di Sanpa, e nel’95 contribuirà a creare “Rainbow International Association against Drugs”, aggregazione di 200 associazioni e strutture di recupero in Europa e negli Usa, contro ogni legalizzazione delle sostanze.

Non c’era organigramma, a Sanpa, ma più di qualcuno lo vedeva come il numero 2. E quando Muccioli si ammalò, lui e Fabio vennero soprannominati “le gambe di Vincenzo”. In molti, alla morte di Muccioli, lo volevano persino naturale successore alla guida della comunità per tossicodipendenti più grande, discussa (e processata) d’Europa. Non solo perché teneva le relazioni.

La storia ci racconta come finì la corsa, canterebbe l’emiliano Guccini per questa storia tutta romagnola. A raccogliere il testimone fu Andrea Muccioli, il figlio, che pure ha rivelato nelle recentissime interviste che allora non lo voleva affatto. Forse anche per questo Antonio lo affiancò nei primi tempi del “post Vincenzo”. Ma Bubi avrebbe ricoperto in precedenza un ruolo chiave, fondamentale, anche nella non facile fase vacante seguita al decesso del ondatore. Fino al 2002 restò a SanPa, poi i primi screzi e la rottura, la scelta di un percorso professionale esterno, la separazione dalla moglie, il trasferimento a Ospedaletto. E nel 2005 i primi segni della malattia fatale.

«Antonio era anarchico, non amava il potere, non aveva ambizioni, figurarsi diventare capo di SanPa, posso garantirlo», racconta oggi l’ex moglie Doretta, «Lui ha sempre dato una mano, si è impegnato per la comunità. Credeva fortemente in ciò che faceva, ma lasciava il passo, voleva che crescessero tutti», continua, «Uscire dalla droga significava per lui rieducarsi ad una nuova vita, imparare a vivere secondo dei principi e soprattutto riscoprire il luogo dell’anima. Né c’era alcun problema con Andrea Muccioli, anzi tutti possono testimoniare del grande affetto tra loro. Quando è morto Vincenzo, Antonio si è messo a disposizione, per almeno un anno ha gestito la struttura».

Com’era Antonio? «Aveva un’intelligenza speciale, e umanamente si poteva sempre contare su di lui. Ci siamo fidanzati nel 1986, e in quell’anno Vincenzo volle Antonio in “ufficio”, poi nel 1990 è nato nostro figlio. In Vincenzo aveva certo trovato la figura paterna che gli era mancata, e in Sanpa una famiglia speciale. Ci siamo sposati nel 1996, nostro figlio l’abbiamo battezzato in comunità».

E la serie di Netflix, che ha spaccato, in tutti i sensi, dai dati di audience ai roventi feedback dall’opinione pubblica?

«Quello che è raccontato non è contestabile, ma devo dire onestamente che per me rappresenta solo il 5% di quello che ho visto e che ho vissuto. Il 95% restante sono le oltre 8 mila persone che in quella comunità hanno trovato una loro strada per uscire dall’inferno. Le vicende più oscure? Anche per noi che eravamo lì sono state una mazzata, ma posso dire che Muccioli, quando è finito sotto inchiesta ha sempre tutelato i suoi collaboratori. Mi avevano chiesto un’intervista per la serie tv, non ho voluto darla». Anche per questo Antonio è rimasto ancora nell’ombra? Il partito anti– serie, i “muccioliani”come Red Ronnie, dicono che è perché «la serie su Sanpa non ha reso omaggio ai seguaci di Vincenzo».

La vicenda di Antonio parte come una storia sbagliata di provincia. Era nato e cresciuto in via Caduti di Cefalonia, di fronte alle scuole medie “Felissent”, ma come tantissimi altri in quegli anni ’70 incrocerà l’eroina, piaga di quella generazione. Studente allo Scientifico, era entrato in un gruppo di estrema sinistra. Ma prima i suoi orizzonti, poi la sua adolescenza, e infine la promessa di vita gli erano stati oscurati, quasi azzerati, da quello che si iniettava.

Ma su quelle colline alle spalle di Rimini avrebbe infine disegnato una parabola di rinascita e ricostruzione personale, e di impegno collettivo. Oltre ogni docuserie tv.



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