Abbandonato alla nascita trova la tomba della madre, la storia a Treviso

TREVISO. Il lembo mancante, la ricerca di un filo interrotto molto tempo fa, il desiderio impossibile di riavvolgere il nastro della propria vita. Una speranza che si infrange davanti a una lapide, in un piccolo cimitero del Polesine. La storia di Claudio Diaz, 38 anni, trevigiano impegnato in un'associazione di volontariato, è lacerante: abbandonato dalla madre nel 1979, adottato da una nuova famiglia quando aveva pochi giorni.
Da adulto inizia a cercare le proprie origini. Un primo tentativo va a vuoto. Un secondo, complice una sentenza europea, va a buon fine. Il Tribunale per i Minorenni di Venezia lo autorizza a conoscere il suo passato.

La scoperta. Ma è una doccia gelata: Claudio ottiene il nome della mamma biologica e quasi contemporaneamente scopre che è morta. Triste e solitario il finale: Claudio che posa un fiore sulla sua tomba.
«Una margherita rossa, perché è il mio colore preferito, e delle campanule». Gli occhi fissano la scritta sulla lapide: “Vi aspetto con gli angioletti per amarci in eterno”. L'ultimo pensiero rivolto ai figli abbandonati è inciso nella pietra. Davanti all'immagine di lei le parole lasciano spazio a un silenzioso monologo: «Cara mamma, come sei bella. Io non ti giudico, so che hai avuto una vita molto triste».
Quell'incontro è stato come guardarsi per la prima volta allo specchio. «Mi sono rivisto nel suo viso, abbiamo gli stessi lineamenti, gli occhi scuri e i capelli ribelli». Il resto sono i pezzi di un puzzle che Claudio sta ricostruendo piano piano. La storia materna si rivela carica di sofferenza. Il matrimonio all'età di 17 anni nel 1976, una prima gravidanza subito dopo, quindi la nascita di Claudio.
Nel mezzo l'ombra della dipendenza che colpisce entrambi i genitori, e l'atto di amore più doloroso che ci sia: separarsi dai due figli, forse l'unica possibilità di salvarli. Un peso irremovibile nel cuore, un pensiero mai sbiadito.
La tragedia. Se n'è andata a soli 33 anni in un ospedale di Torino nel 1992. Fino all'ultimo respiro lei ha pensato a loro. “Vi aspetto con gli angioletti per amarci in eterno”. Claudio legge e rilegge quelle parole. Sono la fedele promessa di una mamma ai suoi bambini. Suonano come un abbraccio mai dato, come la carezza sognata infinite volte provando a immaginarli crescere. Il messaggio. «Quegli “angioletti” siamo noi, i suoi figli. Penso che lei non ci abbia mai dimenticati».
Certe cose si avvertono e basta. I sentimenti di Claudio si fermano in gola. Non c'è il rancore per l'abbandono vissuto, né l'esigenza di perdonare quell'addio. C'è solo la voglia di aggiungere altri frammenti al proprio destino. «Da qualche parte, là fuori, ho un fratello che oggi ha 41 anni. So che è nato a Rovigo il 14/02/1977 e che dovrebbe essere stato dato in adozione quando aveva 4 anni, poiché dal 1981 non compare più nello stato di famiglia. Mi piacerebbe se qualcuno, leggendo questo articolo, potesse farsi avanti».

La speranza. L'appello è fatto con la delicatezza di chi non vuole riaprire vecchie ferite ma solo incontrare gli affetti perduti. «Spero di poter trovare qualche parente ancora vivo che abbia il desiderio di conoscermi. Nei documenti che ho recuperato fino ad ora ci sono i dati ma non la mia storia, mi piacerebbe ricostruirla per raccontarla a me stesso». Dopo il saluto alla mamma, Claudio ha portato un mazzolino di fiori identico sulla tomba di papà, che riposa nel cimitero di una frazione rodigina, anche lui morto giovane, nel 1995. Il passato si delinea a poco a poco. «Ringrazio i giudici per la benevolenza e anche due amiche che mi stanno accompagnando in questo cammino: l'avvocato Marina Collarile, e Nadia Barone dell'agenzia “Alla ricerca del filo rosso”, specializzata in ricerca documentale» aggiunge. Altri frammenti di memoria trovano il loro posto, altre caselle restano vuote.
«Sapere chi sono e da dove vengo mi aiuta a chiudere il cerchio della mia esistenza. Avere delle notizie sulla malattia ereditaria che mi ha portato su una sedia a rotelle è altrettanto importante». Claudio stringe tra le mani un nastrino rosso con una chiave del cuore. «È un augurio di buona fortuna per il mio lungo viaggio», spiega con l'entusiasmo di chi non intende fermarsi. A volte è necessario guardarsi indietro per poter andare avanti. «Se qualche anno fa mi avessero detto che un giorno avrei scalato montagne che parevano impossibili, e che invece si sono dimostrate dei semplici mucchietti di sabbia fatti di parole e giudizi, non avrei mai creduto che sarebbe stato possibile. E invece è accaduto e ora sono qui a stupirmi della vita, così imperfetta e straordinaria».
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