A Treviso tre milioni per cacciare dal Sile gamberi americani e tartarughe straniere

CASALE. Tra tartarughe esotiche, gamberi della Louisiana, e siluri che nemmeno in Amazzonia: l’ecosistema del Sile cominciava ad assomigliare più a quello di un corso d’acqua americano, che non a quello del fiume di risorgiva più lungo d’Europa. . Con il progetto Sillife, finanziato con 3 milioni dall’Unione Europea, si è riportato un po’ di ordine. Tre anni di progetti e interventi che consegnano alla Marca un fiume migliore; i risultati sono stati presentati ieri al Sant’Artemio nel convegno conclusivo. Diverse le azioni messe in atto, ma una delle più impattanti ha riguardato il contenimento delle specie non autoctone invasive.
Sono stati catturati 9.000 gamberi della Louisiana, 155 tartarughe americane e oltre 1. 200 siluri, specie che risulta confinata alla parte inferiore del Sile, del fiume Musestre e dello scolo Serva. Se le prime specie, dopo la cattura, sono state uccise, attraverso congelamento e poi incenerimento, le tartarughe sono state “pensionate” in centri specializzati.

«Per quanto riguarda gamberi e siluri l’eradicazione totale è impossibile, anche perché il gambero è terricolo, quindi si può spostare anche da alcune zone ad altre» spiega Marco Zanetti della Bioprogramm, partner tecnico del progetto. «Sono specie che vanno periodicamente controllate, e questa è una delle sfide per il futuro del Sile, ora che il progetto europeo è concluso. Per le tartarughe, invece, è diverso. Catturando quelle americane abbiamo già notato un rapido ripopolamento degli esemplari nostrani». Insomma, le nostre tartarughe si sono liberate del colonialismo americano. Il Sile inoltre è ritornato ad essere popolato da alcuni pesci che erano spariti per diverse cause ambientali.

Sillife ha consentito di immettere 55.000 esemplari giovani di trota marmorata e 19.000 di temolo adriatico. Sono state inoltre studiate e consolidate le popolazioni di fauna ittica protetta come il panzarolo, lo scazzone e la lampreda padana.
Ma se il Sile sembra dare segnali incoraggianti, dal punto di vista dell’inquinamento l’emergenza è su alcuni affluenti. «Negli anni ’80 e’90 il fosso Corbetta, a Vedelago, era in condizioni ottimali, ora ha un inquinamento molto marcato, ed è vicino alla risorgive.
Anche i dati raccolti nel Serva e nel Piovega mostrano qualità scadenti», continua Zanetti. «Nella zona delle sorgenti servirebbe un agricoltura più rispettosa, regole che limitino l’uso di fertilizzanti. In tutto il bacino del Sile l’inquinamento però deriva anche da altre fonti, industriale e, viene da dire, anche dal sottosuolo visto il numero di cave e di discariche».
Il progetto Sillife però ora si è chiuso, e serviranno altre risorse per non rendere inutile la spesa dei primi tre milioni. Le incertezze sull’assetto istituzionale del Parco del Sile, commissariato non si ancora con che destino, e delle Province, a secco di fondi non aiutano.
«La tutela e la salvaguardia del patrimonio ambientale, naturalistico e delle sue biodiversità, è l’inderogabile vincolo nel quale convogliare i nostri sforzi», ha detto il presidente della Provincia Stefano Marcon nel corso del “riassunto” di questi anni di lavoro sul “fiume di Treviso”. «È l’azione tecnico-scientifica unita a quella della strategia di indirizzo politico, il vero strumento per la prevenzione, il controllo e il contrasto in modo consapevole a tutela e salvaguardia della natura, dei nostri beni naturali e dei loro valori caratteristici ed identitari: patrimonio a protezione della comunità tutta».
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