A Treviso archivio di Stato senza spazi: restano fuori 4 km di carte

TREVISO. Otto chilometri di scaffalature zeppe di documenti, antiche mappe e preziose pergamene. Ma lo spazio non basta per contenere le tonnellate di materiale in cui si cela la storia del nostro territorio. L’Archivio di Stato di via Pietro di Dante, ex convento Santa Margherita a Treviso, “scoppia” in spazi ormai troppo angusti per accogliere ciò che ancora sta in tanti uffici e case private. Non basta neppure il chilometro messo a disposizione dal Ministero dei Beni Culturali in uno stabile a Mestre. Servirebbero almeno altri 4 chilometri per mettere al sicuro la nostra memoria collettiva.
Il direttore Antonio Bruno soffre al pensiero che qualcosa possa andare perduto e snocciola esempi di un patrimonio straordinario che il mondo ci invidia. Meno di due anni fa proprio lui fece una scoperta eccezionale: un documento di Marco Polo datato 1320, che testimonia come il sessantaseienne mercante veneziano avesse interessi commerciali non solo nel lontano Oriente ma anche nella più vicina Creta.
La pergamena racconta di un prestito concesso dal veneziano e pagato da messer Pietro Canal attraverso i “legati” Giovanni e Filippo Iuliano alla presenza del notaio Benedetto da Milano. Note rilevanti solo per gli studiosi? Niente affatto, documenti come questi aiutano a capire la nostra storia, scandagliando i fatti al di là dei “sentito dire” e dei pregiudizi. Aprono finestre sulla vita di uno dei personaggi più affascinanti del passato, il mercante viaggiatore giunto alla corte di Kublai Khan e autore del Milione.
Un altro esempio: tra i depositi acquisti troviamo l’Archivio Notarile in cui sono conservati gli atti registrati in provincia dal 1200 ai primi del Novecento. Testi ricchi di dettagli utili a ricostruire un ritratto della vita sociale del territorio, anche là dove si vorrebbe mutarne il volto. È il caso del quartiere Templare di Treviso, nell’area di piazza del Grano, dato alle fiamme agli inizi del Trecento dopo la soppressione dell’Ordine cavalleresco e la persecuzione avviata da Filippo il Bello di Francia.
L’ordine era quello di cancellare ogni traccia dai libri di storia e pure il preciso abate Marchesan nella sua opera su Treviso non ne fa menzione. Chi ha riannodato i fili del passato è stato Giampaolo Cagnin che è riuscito attraverso i documenti notarili che parlano di lasciti e compravendite, a ricostruire la presenza dei Cavalieri in città.
Altro esempio l’Archivio degli Estimi, rilevazioni fiscali redatte prima dell’avvento del Catasto, in cui “cittadini” e distrettuali di campagna dichiaravano alla Podesteria i beni posseduti. Una sorta di 730 con dati che vanno dal 1400 al 1700, esempio tra i più ricchi e meglio conservati d’Europa, tanto da attrarre studiosi come Matthieu Sherman che dopo averne fatto tesi di laurea e libro, ora gira l’Europa tenendo conferenze in cui cita il capoluogo della Marca.
Spulciando gli estimi si è scoperto come nel 1532 il territorio fu sconvolto da una terribile alluvione, citata per lamentare danni e chiedere riduzioni delle tasse. Nello stesso modo il direttore Bruno scoprì due terremoti del 1500 sconosciuti, che hanno scatenato l’interesse dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
Ma l’elenco potrebbe continuare citando le mappe precatastali veneziane dal tratto artistico, le 18 mila pergamene dell’Antico ospedale dei Battuti, il Diplomatico con 7 mila pergamene salvate dall’abate Luigi Bailo e appartenenti agli ordini religiosi soppressi da Napoleone o ai tanti fondi privati come quello della famiglia Rinaldi o dello storico Giovanni Netto a disposizione di tutti.
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