La morte improvvisa degli sportivi «Ora si può evitare»

Il cardiologo Delise: «La prevenzione è fondamentale Storia familiare e la lettura dell’elettrocardiogramma»
Di Federico Cipolla
Bolognini Treviso presentazione libro croce rossa
Bolognini Treviso presentazione libro croce rossa

Atleti, passati sotto la lente d’ingrandimento di decine di esami specialistici, che si accasciano al suolo, improvvisamente. E muoiono.

Sono decessi che scuotono le certezze dell’animo umano, che minano la tranquillità di ognuno.

Da queste morti misteriose, dallo choc che ne deriva, il giornalista Mario Anton Orefice è partito per scrivere “Quando il cuore si ferma”.

Dall’altra parte del taccuino Pietro Delise, primario di cardiologia a Conegliano, e un luminare nel settore. È da lui che Orefice ha atteso le risposte alle domande che quelle morti misteriose pongono.

«La medicina non è una scienza perfetta», spiega Delise, «ma in alcuni casi quelle morti possono essere evitate».

Per presentare il libro, ieri, un ospite d’eccezione, il cittì dell’Albania Gianni De Biasi, «vedere giovani atleti cadere su un campo di calcio, ti lascia senza parole, spesso sottovalutiamo i segnali che ci arrivano».

Il libro si dipana proprio analizzando in ogni capitolo un caso diverso, ma si parla anche dei limiti della ricerca, di quella che viene definita la “sindrome di Highlander”, fino al ruolo del medico. I ricordi di tutti vanno a Vigor Bovolenta, Antonio Puerta, Piermario Morosini, ma anche al trevigiano Andrea Pinarello, spirato al termine della prima tappa del Giro del Friuli per cicloamatori.

Tutte morti improvvise, legate a un arresto cardiaco. «Un problema elettrico» dicono i medici definendo l’assenza dell’impulso che consente al cuore di battere. «Solitamente c’è un problema congenito. Qualche cromosoma può portare a patologie, che compaiono avanti nell’età, anche dopo i 20 anni», spiega Delise.

«Ma queste patologie sono molto insidiose perché disturbano l’impianto elettrico del cuore. Oggi sappiamo quali sono e le sappiamo riconoscere». Sono due le strade principali che la medicina sportiva utilizza per prevenire morti improvvise. «La storia familiare è fondamentale. Nel migliaio di casi che ho seguito, spessissimo», prosegue Orefice, «risalendo indietro nel tempo, si è scoperto che altri parenti avevano avuto morti improvvise. E poi c’è uno strumento vecchio di 40 anni, che, se interpretato correttamente, ci dice molto: l’elettrocardiogramma. È chiaro infine che non bisogna sottovalutare segnali come la sincope, o gli svenimenti se avvengono durante l’attività sportiva».

Negli ultimi anni si è assistito ad una grande sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema delle morti improvvise nello sport. Tanto che lo scorso anno in Parlamento arrivò un disegno di legge che rendesse obbligatorio il defibrillatore per tutte le società sportive. «È certamente importante», continua Delise, “ma non possiamo pensare che piccolissime società fatte da una decina di atleti possano spendere 3 mila euro per un defibrillatore. Chi lo sa usare? Magari è una persona sola, che non può essere sempre presente».

I rischi maggiori sono però proprio per gli appassionati dello sport, per coloro che non hanno nemmeno bisogno dell’idoneità. «Lo sport più pericoloso è il ciclismo», conclude Delise, «mi capita di vedere 50enni, 60enni, anche 70enni sovrappeso che scalano il passo Giau, magari senza l’adeguata preparazione. Ma io sono ottimista, i casi di decessi durante l’agonismo sono in forte riduzione, e la medicina sportiva italiana è la migliore del mondo».

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