In centro col niqab l’italiana convertita che sfida la diffidenza

Amsaa, alias Maria Teresa, passeggia a Treviso col marito «Il terrorismo ha danneggiato l’Islam. I divieti? Li rispetterò»
Di Valentina Calzavara

Amsaa è il nome che si è data dopo la conversione all'Islam, avvenuta dieci anni fa. Prima si chiamava Maria Teresa. Ieri mattina passeggiava per Treviso, insieme al marito, coperta integralmente da un niqab, un velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi. «Sono venuta a trovare un'amica che gestisce un bed&breakfast in città» racconta «vesto così tutti i giorni ed è molto difficile». Intorno a lei, la gente che cammina sotto ai portici di via Indipendenza, si ferma a osservarla. C'è chi la condanna solo con lo sguardo, chi si gira stranito a vedere meglio, chi si tira in parte, chi fa “no” con la testa. Qualcuno commenta a voce alta: «Come si fa a girare con uno scafandro del genere attorno?», «Chissà che presto lo vietino dappertutto...», «E poi dicono che le donne non sono discriminate. Come facciamo a sapere che sotto a quell'abito non ci sia l'esplosivo?». Amsaa ci è abituata, anche a Milano, dove vive, le reazioni sono più o meno le stesse. «L'intolleranza dopo i fatti di Parigi è sicuramente aumentata, questi terroristi hanno fatto male a noi musulmani. Non siamo la stessa cosa ma la gente ha paura. Da una parte lo capisco» commenta, mentre cammina verso piazza dei Signori. Amsaa ha 50 anni, è italiana, da un decennio si è convertita all'Islam. Negli ultimi tempi ha deciso di indossare il niqab. «E' stata una libera scelta ma ogni volta che esco di casa ho paura. Vengo insultata, minacciata, a volte rischio le botte. Nonostante tutto, continuo a portarlo, per me è un fattore di libertà» spiega. Di lei arriva la voce, celata sotto a un velo di colore viola che copre le forme fino alle caviglie. Del suo aspetto fisico si scorgono solo gli occhi, castani, profondi e disegnati da un filo di kajal. «L'Italia si definisce un Paese libero, allora lo dimostri. Rispettiamoci a vicenda, chi porta le minigonne e chi il velo, questa è l'integrazione». Parole pronunciate in una delle regioni, il Veneto, che insieme alla Lombardia si sta dimostrando intransigente nell'applicare il divieto alla circolazione per chi è abbigliato in modo da non rendersi riconoscibile. A Treviso, il sindaco Manildo ha vietato il burqa nei musei civici e il governatore Zaia è tornato ieri a ribadire la sua linea: «No al burqa, dappertutto». Le regole diventeranno più ferree, lei Amsaa cosa farà? «Mi sto informando e sto a vedere» risponde «non ho intenzione di infrangere le leggi. Per il momento le norme dicono che non ci si deve coprire senza giustificazione, ma se il motivo è religioso ci sono sentenze dalla nostra parte». Una trevigiana commenta: «Sarò fuori dal coro ma a me non infastidisce. Il velo è un simbolo culturale. Allora dovremmo vietare anche il “pallino rosso” all'indiano e la tunica al buddista?»

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