Camorra, prestiti a tassi del 170%

Ventimila euro di interessi al mese a fronte di un prestito di 140 mila euro. Questa la somma che la camorra chiedeva al gruppo del settore edile trevigiano, finito nel mirino della criminalità organizzata.
Sono i particolari dell'inchiesta dell'Antimafia di Padova e di Venezia che lo scorso 14 aprile ha portato in cella 27 persone ritenute contingue al clan dei Casalesi.


Gli arrestati sono accusati di aver taglieggiato 132 imprenditori del Nordest (e non solo) in crisi di liquidità, tutti avvicinati attraverso l'esercizio abusivo dell'attività di intermediazione finanziaria.


Così è stato per il gruppo trevigiano che da anni opera in diversi ambiti del settore edile, attraverso diverse società.


Gli imprenditori, in cerca di un finanziamento per un problema di insolvenza finanziaria (legato a ritardi nei pagamenti da parte dei clienti), hanno bussato a un'azienda che prometteva prestiti attraverso fondi europei e che sembrava perfettamente in regola. In realtà di regolare c'era ben poco: si trattava di una truffa da 170 mila euro su cui sono ora in corso le indagini della Procura di Treviso.


E a questo primo, disastroso, contatto dei trevigiani con le finanziarie ne è seguito un altro ancora peggiore: quello con la società padovana di recupero crediti Aspide gestita da Mario Crisci, 34 anni, detto O'Dottore e ritenuto da Dia e Dda il capo del clan camorristico in Veneto.


Stando alla ricostruzione dell'Antimafia, il gruppo trevigiano nel settembre del 2010 aveva ottenuto un finanziamento di 140 mila euro. A fronte di quella somma, sono stati chiesti interessi mensili di 20 mila euro, pari a un tasso del 14,28% mensile e al 171% su base annua.


A garanzia del credito - ritiene la magistratura - gli strozzini hanno preteso quote di una delle aziende del gruppo. Gli imprenditori si sono subito resi conto di non poter far fronte a un simile impegno finanziario. E, lo scorso dicembre hanno ceduto agli strozzini la proprietà di una delle società, a parziale pagamento dei ratei usurari. Il clan ha a quel punto trasferito fuori regione la sede dell'azienda, avviandola alla bancarotta.


Oltre al danno, la beffa: per il crac rischiano ora l'incriminazione gli stessi imprenditori che hanno dovuto cedere le quote.


Le modalità usate dalla camorra nei confronti dei trevigiani sono le stesse adottate per taglieggiare le altre società finite nel mirino del clan, tutte con problemi di liquidità. Uguali anche i nomi degli indagati.


Per il gruppo edile si procede contro Mario Crisci, il «boss»: era lui che gestiva i rapporti con Napoli, che stabiliva i tassi di usura, il tipo di minacce e le eventuali spedizioni punitive. Indagati i suoi luogotenenti: Massimo Covino, 38 anni e Antonio Parisi, 43, entrambi napoletani. Nei guai anche Ciro Parisi, 23 anni, campano, che faceva capo alla società «Il Girasole» e la compagna di Crisci, Donatella Concas di 35 anni. Sotto accusa, infine, la squadra «punitiva» formata da Ferdinand Selmani, 29 anni di origini albanesi e Alessandro Mazza, 32 anni di Villaricca: quest'ultimo arrivava da Napoli e conduceva le spedizioni fatte di pedinamenti e di minacce (alcuni imprenditori sarebbero stati anche pestati). Più defilato il ruolo del padovano Salvatore Destito di 36 anni, titolare di un bar a Padova nei pressi della società Aspide: il suo compito era quello di fare da «sentinella» all'azienda di Crisci segnalando l'arrivo delle forze dell'ordine.

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