Addio a Luciano Bellotto Una vita per i più deboli

Il ritratto di chi ha condiviso con lui un percorso lunghissimo è nitido, definito: «La sensibilità di Luciano Bellotto verso chi aveva bisogno di aiuto era eccezionale», racconta Ottaviano Bellotto, sindacalista Cgil. Stesso cognome, nessuna parentela, tanta strada fatta insieme. «È stato il “mio” primo sindacalista», racconta Ottaviano, «ricordo quell’assemblea nel 1969 al Cotonificio di Conegliano».
Luciano Bellotto è morto nel suo appartamento di via Friuli, a Conegliano. Aveva 76 anni. A trovare il corpo senza vita è stato martedì pomeriggio il fratello Giuliano, che era andato a trovarlo per accompagnarlo dal medico: negli ultimi giorni non si era sentito molto bene. Era steso sul divano, accanto a lui c’era una pistola. Un gesto estremo, un addio tragico. Lascia una figlia, avuta dalla moglie dalla quale si era poi separato.
Raccontare Luciano Bellotto senza suonare retorici non è facile. Ci sono parole come impegno, dedizione, passione, attenzione (sempre) verso i più bisognosi che non si possono non usare. Lui non le usava: le impersonificava. Una storia sindacale lunga come una vita intera. La sua vita. Socialista, poi comunista, sempre lì dove c’erano lavoratori da difendere, poi inquilini da tutelare quando la sua vita è diventata il Sunia, il sindacato degli inquilini che contribuì a fondare.
Alla fine degli anni Cinquanta il giovane Luciano lavora al mobilificio Dal Vera di Susegana. Scopre fin da subito l’importanza del sindacato, una passione che presto si intreccia con quella innata per la politica. I “maestri” capiscono subito che quel ragazzo ha tutto quello che serve: passione, intuito, sensibilità. Diventa sindacalista a tempo pieno a metà degli anni Sessanta. Il comparto tessile è stato il primo al quale Luciano ha iniziato a dedicarsi a tempo pieno. Cgil e Partito Socialista Italiano sono le prime due tessere che si mette in tasca.
Sono gli anni del boom, le fabbriche non sono quelle di oggi: condizioni di lavoro dure, diritti ancora tutti da sudare, conquistare. Lui è lì in prima fila. Va alle assemblee in motorino. Tessitura Gera, Cotonificio di Conegliano: la mappa dei primi scontri con i “padroni” è in una Sinistra Piave che si trasforma in simbiosi con le sue fabbriche.
«Era un sindacalista, ma il suo rapporto con il partito è sempre stato stretto: è lì che portava il suo contributo, la sua profonda conoscenza dei problemi dei lavoratori», racconta Ottaviano Bellotto. Dal Psi esce per sposare l’ala sinistra del partito, che si riunisce nel nuovo Partito Socialista di Unità Proletaria. Nel 1972 si iscrive al Partito Comunista Italiano, ma non avrà mai ruoli politici di primo piano: la sua vita è il sindacato. Si distingue anche per l’ironia e la fermezza, oltre che per la dedizione totale alla causa, dicono di lui.
Sono le doti che trasferirà in pieno nella sua nuova creatura, quella che caratterizzerà oltre trent’anni della sua vita: il Sunia, “Sindacato unitario nazionale degli inquilini e assegnatari”. Luciano Bellotto è tra i costituenti nazionali e provinciali della nuova sigla, primi anni Ottanta. Lavoro e casa sono i pilastri basilari della dignità di una persona, e Luciano ne farà una ragione di vita. Si batterà contro gli sfratti, gli eccessi del mercato immobiliare, per la dignità degli alloggi popolari. Sempre dalla parte dei più deboli.
Ha lasciato la guida provinciale del Sunia quasi un anno fa, marzo 2014. Forse lì qualcosa si è spento. «Ma io l’ho visto un mesetto fa, era il Luciano di sempre», racconta Ottaviano Bellotto. Due chiacchiere, un saluto, un paio di scambi di idee sulla politica. Come sempre.
Portava una specie di croce in spalla, nelle manifestazioni di piazza. Ci appendeva un paio di scarpe logore, come un distintivo chiaro: ecco da che parte sto. «Finché potrò, porterò questo cartello in piazza con me, mi ha detto l’ultima volta», racconta Paolino Barbiero, segretario dei pensionati Spi Cgil, ex segretario generale provinciale. «Anche nei miei momenti più difficili, quando ho ricevuto attacchi pesanti per le mie posizioni sugli immigrati e sulla contrattazione, Luciano mi è stato vicino: non ti preoccupare, vai avanti per la tua strada, mi diceva. Da lui ho imparato che si lotta anche per la casa, non solo per il lavoro. Chi vive in affitto quasi sempre lo fa perché è costretto dalle proprie condizioni economiche, non certo per scelta. E lui è stato bravo a portare i problemi degli inquilini sotto gli occhi dell’opinione pubblica».
Con i giornalisti aveva un feeling particolare. Sapeva che sollevare un problema era il primo passo per risolverlo. Gli sfratti per morosità erano diventati uno dei suoi cavalli di battaglia, un problema sociale da scoperchiare, da affrontare per evitare drammi familiari irreparabili. «Vogliamo ricordare Luciano per il suo impegno e la sua dedizione, la sua rettitudine e per la grande attenzione verso gli altri, ma anche per il suo sorriso e la sua grande vitalità», dice Giacomo Vendrame, segretario provinciale della Cgil, «il suo è stato un percorso caratterizzato da una forte sensibilità per il disagio, ovunque esso abbia avuto origine, sia in fabbrica per i lavoratori, sia per i cittadini relativamente alle questioni e ai fabbisogni abitativi». «Il miglior modo per onorare la sua memoria e il suo ricordo è continuare nel cammino da lui tracciato nella difesa dei diritti dei più deboli», dice Alessandra Gava, segretario del Sunia. Un ricordo anche dal sindaco di Treviso, Giovanni Manildo: «Sono sconvolto, perdo un amico. È stato sempre in prima linea per aiutare le persone travolte dalle emergenze sociali».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso